Il collega e amico Giovanni Porzio, ex inviato di Panorama,
nel 2002 aveva intervistato, unico giornalista italiano,
lo sceicco Hassan Nasrallah.
Riproponiamo oggi il suo articolo pubblicato allora.
Giovanni Porzio
Per Panorama
Beirut, 20 aprile 2002
Gli israeliani, che da anni gli danno la caccia, lo vorrebbero vivo o morto. La CIA e il Pentagono l’hanno incluso nella lista dei ricercati per attività terroristiche compilata dopo le stragi dell’11 settembre.
Ma lo sceicco Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, non si nasconde. La testa avvolta nel turbante nero dei discendenti del Profeta, al suo fianco la bandiera gialla del Partito di Allah, con il mitra e lo slogan Rivoluzione islamica libanese, riceve gli ospiti al quarto piano di una palazzina di Haret Hreik, un popoloso quartiere sciita alla periferia meridionale di Beirut: più dei miliziani armati di Kalashnikov e delle torrette di guardia con i vetri blindati è la densità delle abitazioni civili a fargli da scudo.
Lo sceicco, succeduto nel ‘92 ad Abbas Musawi, ucciso da un missile con la stella di David, gode di un prestigio indiscusso tra gli sciiti del Paese dei cedri e di un seguito crescente tra i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania: suo figlio Mohammed, caduto a 18 anni al fronte, è uno dei 1.375 martiri della resistenza, che dopo 22 anni di guerriglia nel Libano del sud ha costretto gli israeliani, nel maggio 2000, a ritirarsi da una terra araba occupata.
Un’ impresa mai riuscita ai palestinesi, ai siriani, agli egiziani, ai giordani. Nelle ultime settimane i miliziani di Hezbollah hanno continuato a bombardare con i razzi Katyusha le postazioni militari di Tel Aviv, facendo salire pericolosamente la temperatura al confine libanese, dove i caschi blu dell’Onu, in previsione di un possibile allargamento del conflitto, sono in stato di massima allerta.
In questa intervista esclusiva con Panorama, la prima rilasciata a un giornalista occidentale dopo l’11 settembre, Nasrallah spiega quali sono gli obiettivi e le strategie di Hezbollah.
Sceicco Nasrallah, per quale motivo avete intensificato gli attacchi contro Israele?
“Prima di tutto voglio precisare che le nostre operazioni armate sono limitate alla zona delle fattorie di Sheba: un territorio libanese occupato militarmente da Israele. E dunque non sono altro che la legittima continuazione della resistenza. Le ragioni dell’attuale escalation sono due: dimostrare la nostra solidarietà al popolo palestinese nel momento in cui subisce la feroce aggressione israeliana; e far sapere al primo ministro israeliano, Ariel Sharon, che siamo in grado di colpire lo Stato ebraico e di combatterlo, se necessario”.
Ma ci sono stati attacchi al di fuori dal perimetro di Sheba, anche contro i kibbutz…
“Noi controlliamo il sud, ma non possiamo prevenire le azioni isolate dei giovani palestinesi dei campi profughi, dove regnano l’esasperazione, la miseria e la rabbia”.
Non si rischia così di provocare un allargamento del conflitto?
“Non credo che ci sarà una nuova guerra in Libano. E in ogni caso Israele non ci fa paura: l’abbiamo già sconfitto una volta”.
Avete o avete avuto in passato rapporti con l’organizzazione di Osama bin Laden?
“I membri di Al-Qaeda sono estremisti sunniti: la loro mentalità e la loro ideologia sono diverse dalle nostre. In Libano, nella valle della Bekaa, non li abbiamo mai visti. Hanno sempre operato lontano da qui: tutti sanno che sono nati con i soldi della Cia, quando gli Stati Uniti finanziavano i mujahiddin afghani contro l’Armata Rossa. Credo che ci siano più militanti di Al-Qaeda negli Usa che in Medio Oriente!”
Qual è il suo giudizio sulla lotta al terrorismo internazionale guidata da George Bush?
“Un pretesto per imporre la supremazia americana in Medio Oriente e nel mondo. Basta leggere le surreali dichiarazioni della Casa Bianca: secondo Bush Sharon è “un uomo di pace” che lotta contro il terrorismo! Neppure la destra del Likud osa fare simili affermazioni”.
Che cosa pensa delle operazioni dei kamikaze palestinesi e, più in generale, della situazione nei territori occupati?
“Da tempo re Abdallah di Giordania lancia avvertimenti inascoltati: la repressione e i massacri rischiano di provocare un esodo oltre il Giordano con conseguenze devastanti per il regno. E con il rischio, anzi la certezza, di veder nascere nuove schiere di kamikaze. I martiri sono l’unica arma dei palestinesi contro l’occupazione della loro terra. Non hanno alternative. Ma perché la comunità internazionale, invece di indignarsi per gli attentati suicidi, non fa nulla per costringere Israele a evacuare le zone occupate, a rispettare la convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e le risoluzioni dell’Onu? Gli israeliani trattano i palestinesi come i nazisti trattavano gli ebrei, ma nessuno cerca di fermarli.
Voi, però, fornite armi e munizioni ai palestinesi. Tre militanti di Hezbollah sono stati arrestati in Giordania con un carico di mitra e di granate.
“Riteniamo legittimo aiutare la resistenza palestinese anche con l’invio di armi attraverso il confine giordano. Ma tengo a precisare che non abbiamo mandato nessuno dei nostri combattenti in Palestina”.
Eppure su molte case di Gaza sventolano le vostre bandiere…
“I palestinesi vedono in Hezbollah il simbolo della resistenza vittoriosa contro Israele”.
Hezbollah ha sempre avuto legami indissolubili con Teheran. Se lei fosse in Iran, si schiererebbe per il riformista Khatami o per il conservatore Khamenei?
“È un errore ridurre la complessa struttura della società iraniana a uno scontro tra modernisti e conservatori. Nella gestione del potere ci sono diversi contrappesi, c’è un equilibrio democratico tra le diverse istituzioni. Khamenei è la suprema guida spirituale, Khatami la guida politica. Ed entrambi sono eletti e sostituibili”.
È possibile una soluzione politica in Palestina?
“Non con Sharon: il suo obiettivo è ghettizzare i palestinesi a Gaza e nei bantustan della West Bank, espellerli in Giordania o costringerli a emigare sotto la spinta dei carri armati e della diperazione economica. Ma se sarà così, noi reagiremo”.
Nelle vostre mani ci sono quattro israeliani: tre militari catturati al confine e un uomo d’affari che accusate di spionaggio per il Mossad. Sono ancora vivi? E che cosa chiedete in cambio della loro liberazione?
“Ci sono 17 libanesi in prigione in Israele. E altri 150 sono scomparsi durante l’occupazione del Libano del sud. Non intendo dare informazioni sullo stato di salute dei nostri prigionieri se Israele non farà un gesto: vogliamo almeno notizie sulla sorte dei desaparecidos. Se sono morti, i loro famigliari hanno diritto di sapere dove sono sepolti e di reclamare le salme”.
Lei è nel mirino di Israele, della Cia, del Pentagono. Si sente in pericolo?
“Sono tranquillo. Il giorno in cui dovrò lasciare questa terra è già stato scritto nel grande libro di Allah”.
Giovanni Porzio
pozzo.giovanni@gmail.com
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