Costantino Muscau
3 settembre 2024
“Le nostre disabilità siano la forza per le donne africane”. Sottoposte a discriminazioni nello sport e nella vita familiare. È il messaggio che viene dalle atlete nere che hanno conquistato l’oro ai Giochi Paralimpici di Parigi 2024, edizione numero XVII (28 agosto-8 settembre).
Lo ha detto a chiare lettere la tunisina Raoua Tlili, 34 anni, vincitrice della gara di peso (nella categoria F41, quella di bassa statura), con un lancio di 10,40 metri.
La vittoria è valsa alla Tunisia e al mondo arabo la prima medaglia d’oro alle Paralimpiadi francesi. “Il messaggio che mando alle donne tunisine, alle donne arabe e alle donne in generale è di credere nelle loro capacità e potenzialità – ha dichiarato l’atleta a www.paralympic.org – e di cercare di trasformare la debolezza in forza, indipendentemente dal campo in cui eccellono”. Ed ecco, un esempio: Raoua, che è disabile, ha sfidato gli ostacoli della disabilità e ha ottenuto buoni risultati.
Tlili, alta 1,33 metri, è l’incarnazione della caparbietà, della volontà di non arrendersi, tanto che è diventata la tunisina più titolata nella storia dei Giochi paralimpici e indicata, dalle Nazioni Unite, modello da seguire.
Questa è stata la sua quarta vittoria nella categoria F41 alle Paralimpiadi. Le altre medaglie d’oro (a cui ha…dedicato il colore dei suoi capelli!) nel getto del peso sono state Londra, Rio e Tokio. “Non è facile per una persona di bassa statura e della mia età – ha aggiunto – soprattutto se gareggi contro avversarie che hanno 22, 25 anni. Devi avere una personalità forte e aggrapparti ai tuoi sogni perché fallirai molte volte nella tua vita, ma devi avere pazienza e determinazione per superarli. Afferrali saldamente, tienili bene, evita la disperazione, e poi gradualmente avrai successo>.
Il coraggio di provarci ha scritto altre “storie controvento”. Soprattutto da parte delle donne. Non è un caso se delle 8 medaglie d’oro conquistate dall’Africa in questa edizione francese (almeno fino al momento in cui scriviamo) 5 sono femminili. “Un successo particolarmente gratificante – ha scritto Ethiopian Observer – è quello di Tigista Gezahagn Menigstu, 24 anni, perché a differenza delle Olimpiadi , l’Etiopia non è abituata a brillare ai Giochi Paralimpici”.
Tigista, infatti, ipovedente, 3 anni fa a Tokyo aveva fatto la storia come la prima donna etiope in assoluto a vincere una medaglia al concorso. Sabato scorso allo Stade de France, davanti a un foltissimo pubblico, ha concesso il bis: ha assicurato il primo prestigioso podio al suo Paese nei 1500 metri corsi con un tempo impressionante di 4:22.39.
Dalla Namibia viene un terzo oro femminile, quello di Lahja Ishitile, 27 anni, sui 400 metri, che ha dato l’occasione per sottolineare la differenza di trattamento tra “abili e disabili” e la necessità di scardinare discriminazioni e pregiudizi. Lahja è una studentessa dell’Università della Namibia, ha affermato il suo allenatore Hamhola Letu intervistato da The Namibian, “ha una storia interessante da raccontare, fatta di determinazione e perseveranza: una vera gladiatrice e coraggiosa figlia della terra”.
La giovane, infatti, cominciò a perdere la vista a 7 anni e divenne completamente non vedente a 11. Dopo l’iniziale disperazione della mamma (“piangeva giorno e notte”) e sua (“vivere al buio è terribile”) i familiari, i medici la scuola Eluwa Special School in Ongwediva le assicurarono tutto il supporto possibile. Lahja cominciò a gareggiare fino a diventare una campionessa nella categoria con la guida. E a diventare la seconda namibiana, dopo la pioniera Johanna Benson, a salire sul gradino più alto del podio ai Giochi Paralimpici. A Parigi, lo scorso anno, insieme alla sua fidata guida Sem Shimanda, battè il record africano tre volte e si aggiudicò la medaglia d’argento ai Campionati mondiali di atletica paralimpica.
Hamhola ha approfittato del successo olimpico per chiedere una migliore allocazione delle risorse sportive per disabili, per garantire agli atleti un’ adeguata assistenza.
“Rispettiamo, onoriamo e premiamo loro e le loro strutture di supporto – ha tuonato Hamola -. Come dice il proverbio, ‘alle Olimpiadi si creano gli eroi e alle Paralimpiadi gli eroi arrivano… è ingiusto che gli atleti paralimpici siano trattati come cittadini di seconda categoria e sopravvivano con le briciole. E’ ora che si dia il dovuto rispetto alle nostre leggende paralimpiche. Il paragone con i compensi degli altri è stridente. Chi ha ricevuto di più e chi noccioline. Gli “abili” trovano lavoro grazie allo sport, le nostre devono implorare un’occupazione. Le ricordiamo solo ogni quattro anni”.
Il mal-trattamento delle donne, però, non si limita ai riconoscimenti pubblici o monetari, come ricorda la tragedia avvenuta in Kenya durante questi giochi (para)olimpici.
La fondista ugandese, che vive in Kenya, Rebecca Chepetgei, 33 anni, è gravissima nell’ospedale “Moi Teaching e Referral” di Eldoret, nella contea Uasin Gishu (ovest del Kenya), con l’80 per cento di ustioni dopo essere stata cosparsa di benzina e bruciata dal partner, Dickson Ndiema Marangach.
Rebecca è un ufficiale dell’Uganda People’s Defence Force e detiene il record ugandese della maratona femminile (2:22:47), stabilito ad Abu Dhabi il 17 dicembre 2022. Appena tre settimane fa aveva partecipato alla maratona delle Olimpiadi di Parigi con le compagne Stella Chesang e Mercyline Chelangat e si era classificata al 44 posto.
Domenica scorsa, nella contea di Trans Nzoia, (dove Rebecca aveva comprato una casa per potersi allenare), al ritorno dalla chiesa, nel primo pomeriggio, si è trovata di fronte il compagno. Aveva una tanica di 5 litri di carburante che ha versato sulla donna, sui figli e, involontariamente, su sé stesso. Quando ha acceso un fiammifero, ha preso fuoco pure lui. E’ finito nello stesso ospedale, ma non in gravi condizioni. Non sono state fornite notizie sui figli.
Questa folle aggressione è l’ultimo orribile episodio di violenza di genere nel Paese
Un rapporto dell’Ufficio nazionale di statistica del Kenya, pubblicato nel gennaio 2023, ha rilevato che “il 34 percento delle donne in Kenya ha subito violenza fisica dall’età di 15 anni. Le donne sposate hanno molte più probabilità di aver subito violenza: il 41 per cento di esse ha denunciato episodi di violenza, rispetto al 20 percento delle non maritate”.
Un sortilegio sembra incombere su quella parte del Kenya dove nascono, crescono e si affermano i grandi del fondo e del mezzofondo. Nel 2023 aveva avuto una fine violenta il mezzofondista ugandese Benjamin Kiplagat, 34 anni. Era stato trovato senza vita, nella notte di fine anno, nell’auto del fratello a Eldoret con ferite mortali da coltello.
Kiplagat era nato in Kenya, ma aveva gareggiato per l’Uganda nei 3000 siepi alle Olimpiadi e ai Mondiali.
Due anni fa era stata strangolata a Iten (la patria dei campioni, appunto), Damaris Mutua Muthee, 28 anni, che correva per il Bahrein. L’anno prima era stata uccisa a coltellate, sempre in casa e sempre a Iten, un’altra celebre runner, Agnes Tirop, 25 anni. Sotto accusa e sotto processo il marito separato di Tirop, Emmanuel Ibrahim Rotich.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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