Alessandra Fava
27 agosto 2024
Mentre infuria la guerra nel Nord di Israele tra Hezbollah libanese e Israele, sono ripresi al Cairo domenica e lunedì i colloqui di pace tra Hamas e la delegazione israeliana guidata dal capo del Mossad, David Barnea. Le due delegazioni stavano in due compound separati ma vicini e diplomatici di Stati Uniti, Qatar ed Egitto passavano il tempo andando dagli uni e dagli altri con proposte diverse.
Parliamo al passato perché la delegazione israeliana dopo 48 ore è tornata a Tel Aviv e, secondo gli americani, riprenderà il rimpallo di accuse con conseguente rallentamento delle trattative.
Secondo Israele sono ancora attivi i tunnel tra Egitto e Gaza per il passaggio di armi. L’Egitto dice che sono tutti inattivi e comunque monitorati. Quindi secondo i portavoce israeliani c’è bisogno del controllo militare di tutto il confine verso il Sinai, la Philandelphi Route, ipotesi che lascia perplessi anche gli egiziani. Uguale nessuno uscirebbe più verso l’Egitto senza il controllo israeliano e nessuno creerebbe nuovi tunnel verso sud con cui far passare merci legali, mucche addormentate, medicine, armi e oggetti più o meno legali.
Ma questo non basta. Israele vuole anche dividere la parte a nord e creare un altro corridoio est/ovest, detto Netzarim Corridor. Per altro già in costruzione secondo le immagini satellitari. Insomma l’esercito potrà pattugliare varie zone della Striscia, ma sopratutto sarà impossibile per i normali cittadini palestinesi percorrerla da nord a sud come prima.
Osama Hamdan, uno dei mediatori di Hamas, ha detto alla tv Al-Aqsa: “Non accetteremo punti o nuove condizioni rispetto a quanto abbiamo concordato il 2 luglio”. Temono che le richieste israeliane non finiscano mai.
E’ da marzo che gli Usa promuovono senza successo colloqui per il cessate il fuoco. Perchè i colloqui di pace per Gaza non funzionano? Se lo chiedono in tanto a livello globale. La risposta sta nella volontà di Israele di creare dei bantustan sia a Gaza che in Cisgiordania per demolirli in futuro poco alla volta e nei decenni far sparire la questione palestinese.
A Gaza ci sono ancora circa due milioni di palestinesi; 40.435 sono stati uccisi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre e metà erano bambini. Che fare con i sopravissuti? L’importante è dividerli geograficamente. Israele sta cercando di frammentare i chilometri quadrati della Striscia, prigione a cielo aperto da decenni, senza un porto, un aeroporto, senza una frontiera controllata. Non uno Stato, ma un bantustan, come quelli sudafricani di triste memoria.
Secondo uno scoop della Reuters basato sulle dichiarazioni di tre diplomatici occidentali e due mediatori di Hamas, Israele sta affossando ogni ipotesi di pace, dopo che la proposta Usa promossa da Biden è stata accettata da Hamas a maggio. Secondo le cinque fonti suddette, l’idea dei due corridoi sarebbe saltata fuori di recente, anche se bisogna ricordare che è dall’inizio della guerra che il premier Netanyhau parla del controllo militare della Striscia e della necessità di agire militarmente in qualsiasi momento in quel territorio, anche dopo l’eventuale fine della guerra guerreggiata. Ergo la presenza dell’esercito israeliano, IDF, non sarà mai da togliere e la guerra non deve finire. Per altro la guerra infinita per Bibi significa continuare a stare al potere.
La tregua fa rima con il rilascio degli ostaggi. Alcuni membri dei servizi segreti hanno fatto trapelare che con questo governo non ci sono speranze per i rapiti, 109, di cui 36 dichiarati morti. La scorsa settimana, nell’ennesimo incontro tra i parenti degli ostaggi e Netanyahu, all’affermazione di uno di loro “firmi un accordo che li riporti a casa”, lui ha risposto: “Accordo? E che accordo?”, lasciando tutti scioccati. Per altro della famosa commissione d’inchiesta sui fatti del 7 ottobre il premier non parla più.
Intanto il partito di estrema destra di Ben-Gvir, nel weekend ha pagato pagine di giornali israeliani per dire che è contro qualsiasi accordo per la liberazione degli ostaggi. Nello stesso annuncio se la prendono anche col capo dello Shin Bet, i servizi interni, Ronen Bar, che nei giorni scorsi aveva sostenuto che il terrorismo ebraico mette a rischio Israele: “I capi del terrorismo ebraico vogliono che il sistema perda il potere di controllo, causando un danno inimmaginabile per Israele”. Ha anche aggiunto che appena messi in prigione i “terroristi” vengono liberati dai membri del parlamento, riferendosi chiaramente alla liberazione dei coloni responsabili di violenze.
Il quotidiano Haaretz in un editoriale il 26 agosto titola “L’organizzazione jihad ebraica” e scrive: “Itamar Ben-Gvir supporta i terroristi ebrei. Come ministro della sicurezza nazionale, usa il suo potere, autorità e risorse che sono a sua disposizione per proteggerli. I terroristi ebraici sono l’ala militare dell’organizzazione cui Ben-Gvir appartiene…è fedele all’idea Kahanista della Grande Israele”. Di recente Ben-Gvir è andato infatti a trovare in carcere un estremista che ha lanciato in una casa palestinese una molotov uccidendo un bambino di 18 mesi e i suoi genitori nel villaggio di Duma.
Mentre si moltiplicano i bombardamenti tra Hezbollah e l’esercito israeliano sul fronte nord, al confine col Libano e gli israeliani del Nord, che non sono mai tornati a casa da ottobre, si lamentano dell’abbandono del governo, non cessa la lotta per il territorio in Cisgiordania, soprattutto nelle aree sotto controllo palestinese. Infatti lo stato di Israele si prepara ad acquisire 23 chilometri quadrati di terre prima palestinesi dove piazzare anche cinque nuovi insediamenti.
La scelta di cacciare i palestinesi anche dalle terre più rurali a nord, dai villaggi vicini a Qualkilya, Nablus e Jenin, piace a una fetta di popolazione israeliana. Un recente sondaggio di Pew Research Center dice che il 40 per cento degli israeliani pensa che gli insediamenti rendano Israele più sicura, undici anni fa lo pensava solo il 27 per cento.
Il 35 per cento pensa invece che gli insidiamenti indeboliscano la sicurezza del paese. Secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre ci sono stati 1.270 attacchi dei coloni contro palestinesi nella West Bank. Non che la situazione in Cisgiordania abbia mai avuto una vera pace: nel 2022 gli attacchi erano stati 856 ed erano notevolmente aumentati ben prima del massacro del 7 ottobre, già nel gennaio/febbraio 2023.
Secondo B’Tselem, associazione israeliana contro l’occupazione nei Territori, da ottobre ad oggi in Cisgiordania sono stati sgomberati almeno 18 villaggi palestinesi con 586 morti. Di questi, a detta delle Nazioni Unite, almeno 11 sono stati uccisi direttamente dai coloni, gli altri dall’esercito nazionale. Morale, oggi gli insediamenti, considerati illegali dal diritto internazionale sono 130.
Nella West Bank vivono 500 mila israeliani e tre milioni di palestinesi, esclusa Gerusalemme est. I tre milioni di palestinesi stanno avendo vita sempre più difficile per spostarsi e lavorare. Gli insediamenti frammentano il territorio, specie nelle zone a maggioranza araba e l’opinione pubblica israeliana, pur nel mezzo di una terribile guerra, resta divisa tra chi pensa che solo la pace sia la soluzione e chi per paura continua a pensare che la soluzione sia la guerra oggi al 326 esimo giorno. Lo spettro di una guerra civile si aggira.
Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
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