The Nation* è il più prestigioso giornale
liberal progressista americano.
Pubblica ininerrottamente dal 6 luglio 1865
EDITORIALE
Jack Mirkison
Washington, settembre 2024
Il cambio di orientamento verso Gaza
L’energia positiva intorno alla campagna di Kamela Harrys non proteggerà i palestinesi dalle bombe di fabbricazione statunitense
Quando Kamala Harris ha scelto il governatore del Minnesota Tim Walz come compagno della sua corsa verso la Casa Bianca, molti progressisti sono stati felicissimi. Oltre all’entusiasmo generale per Walz, la sua scelta è stata vista come una prova di forza della loro campagna per bloccare la nomina a candidato vicepresidente del governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro.
La campagna anti-Shapiro si basava sull’opposizione alle sue posizioni su Israele e Palestina in generale e sul genocidio a Gaza in particolare. I progressisti hanno preso la nomina di Walz come un segnale che la Harris non voleva inimicarsi apertamente il movimento pro-Palestina – un calcolo che quasi certamente non avrebbe fatto se non ci fosse stato negli ultimi 11 mesi un forte attivismo dei gruppi filopalestinesi.
Dietro le quinte, anche alcuni democratici hanno tirato un sospiro di sollievo.
Come ha dichiarato a NBC News uno stratega vicino al campo della Harris, “riportare Gaza in primo piano sarebbe stato terribile per tutti. Nessuno lo voleva”.
Shapiro sarebbe stato una pessima scelta come vicepresidente per ragioni che vanno oltre la sua inquietante risposta ai manifestanti anti-genocidio o il suo appoggio alle campagne in malafede contro alcuni presidenti di università per come hanno gestito le manifestazioni per il cessate il fuoco nei campus. È un bene che non sia stato scelto.
Ma la citazione di NBC News evidenzia un rischio derivante dall’ondata di euforia che sta attualmente investendo parte della sinistra: che, mentre la malinconia provocata dalla campagna di Joe Biden lascia il posto allo sfarzo di quella del ticket Harris-Walz, la guerra di Israele contro Gaza rischia di svanire dall’agenda politica. Nonostante gli sforzi degli organizzatori pro-palestinesi, ciò è già cominciato, anche se il genocidio non mostra segni di rallentamento.
Alcuni commentatori hanno sostenuto che il “tono” di Harris differisce da quello di Biden quando si parla di Gaza. Ma questa idea non è affatto in linea con i fatti. Harris ha occasionalmente suonato qualche nota critica, ma se si osservano le recenti dichiarazioni di Biden e Harris, si scopre che i sentimenti – e persino molte delle parole – sono identici. Entrambi parlano della “sofferenza” dei palestinesi. Entrambi hanno detto di volere un cessate il fuoco. L’idea di una profonda divisione nell’uso del linguaggio è una fantasia.
Inoltre, concentrarsi sulle parole di Harris distrae dalla realtà di fondo: la candidata presidente non ha dato alcun segnale di voler fare qualcosa di diverso da Biden su Gaza. Sostiene la continuazione dell’invio di armi statunitensi a Israele, una posizione recentemente confermata dal suo consigliere per la sicurezza nazionale, Phil Gordon.
Non ha mai accennato alla volontà di porre fine alla politica di protezione di Israele alle Nazioni Unite o di ripristinare i finanziamenti per gli aiuti delle Nazioni Unite alla Palestina. In questo momento, l’idea che rispetterà un mandato di arresto internazionale per Benjamin Netanyahu o che farà qualcosa di significativo per fermare l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania è risibile.
Come Harris, Walz non ha fatto di Israele una priorità politica. Sebbene sia stato un po’ più gentile nei confronti del movimento dei “non impegnati” rispetto a molti dei suoi colleghi, non c’è motivo di credere che rappresenti una rottura significativa con la linea democratica standard sulla Palestina.
Si potrebbe dire che non è realistico aspettarsi molto di più da Harris e Walz – che stanno valorosamente cercando di unire un partito diviso e che le cose potrebbero cambiare una volta entrati in carica. Alcuni democratici sono anche chiaramente infastiditi dal fatto che la questione di Gaza non sia destinata a scomparire. L’ostilità mostrata dalla Harris nei confronti dei manifestanti filo-palestinesi che hanno interrotto il suo comizio del 7 agosto a Detroit – e le lodi ricevute da gran parte dei commentatori liberali per averli bloccati – ne sono state la prova.
Ma la questione non è destinata a scomparire, e il motivo è semplice: Il genocidio non è finito, e nemmeno la complicità dell’America. Israele uccide decine di palestinesi ogni giorno, spesso con armi statunitensi. La carestia dilaga e i principali politici israeliani parlano pubblicamente del loro desiderio di affamare tutti a Gaza. I prigionieri palestinesi raccontano orribili esperienze di tortura e violenza sessuale per mano delle forze israeliane. E l’amministrazione Biden è coinvolta in queste atrocità oggi come ieri.
I palestinesi di Gaza non hanno il lusso di aspettare o di andare avanti. Non possono nutrirsi di ritocchi retorici. Un tono più duro non li proteggerà dalle bombe prodotte dagli Stati Uniti. Ammiccamenti e cenni non porranno fine al genocidio. Solo un’azione di forza da parte degli Stati Uniti lo farà. E la Harris non è una figura marginale: è la vicepresidente in carica del Paese e si candida a diventarne presidente.
Quindi, piuttosto che permettere ad Harris e Walz di cullarci nella passività nei confronti di Gaza, dovremmo raddoppiare i nostri sforzi per ritenere gli Stati Uniti responsabili della loro partecipazione ai crimini di guerra di Israele.
Non è accettabile lasciare che l’amministrazione Biden-Harris continui a inviare armi a Israele senza ostacoli. Non è accettabile permettere ad Harris e Walz di passare questa campagna elettorale senza che, come minimo, vengano messi alle strette sui loro piani specifici per fermare i crimini di guerra di Israele. Non è accettabile accontentarsi di uno spostamento di vibrazioni.
Jack Mirkison
*https://it.wikipedia.org/wiki/The_Nation
ORIGINAL TEXT IN ENGLISH
The Gaza vibe shift
The positive energy around Kamela Harrys’s campaign will not protect Palestinians from US-made bombs
When Kamala Harris chose Minnesota governor Tim Walz to be her running mate, many progressives were overjoyed. Beyond their general enthusiasm about Walz, his selection was seen as proof of the strength of their campaign to block Pennsylvania Governor Josh Shapiro from the ticket.
And given that the anti-Shapiro push was grounded in opposition to his views on Israel and Palestine in general and the genocide in Gaza in particular, progressives took Walz’s elevation as a sign that Harris didn’t want to overtly antagonize the pro-Palestine movement — a calculation that she almost certainly would not have made if not for the past 11 months of activism.
Behind the scenes, some Democrats also breathed a sigh of relief. As a strategist close to the Harris camp told NBC News, “Bringing Gaza back into the foreground would just be awful all the way around. Nobody wanted to return to that.”
Shapiro would have been a bad vice presidential pick for reasons beyond his disturbing response to anti-genocide protesters or his endorsement of the bad-faith campaigns against some university presidents over their handling of campus ceasefire demonstrations. It’s good that he wasn’t chosen.
But that NBC News quote highlights a risk from the wave of euphoria currently washing over parts of the left: that as the melancholia of the Joe Biden campaign gives way to the razzle-dazzle of the Harris-Walz ticket, Israel’s war on Gaza will fade from the political agenda. Despite the efforts of pro-Palestinian organizers, that has already started—even though the genocide shows no signs of slowing.
Some commentators have claimed that Harris’s “tone” differs from Biden’s when it comes to Gaza. But this idea hardly squares with the facts. Harris has
occasionally sounded some critical notes, but if you look at the recent statements from Biden and Harris, you will find that the sentiments—and even many of the words—are identical. Both talk about the “suffering” of Palestinians. Both have said that they want a ceasefire. The notion of some deep divide in their use of language is fantasy.
Plus a focus on Harris’s words distracts from the underlying reality: She has sent no signal that she would actually do anything different from Biden on Gaza. She supports the continued shipment of US weapons to Israel, a position recently confirmed by her national security adviser, Phil Gordon. She has never hinted that she would end the policy of protecting Israel at the United Nations or that she wants to restore funding to the UN’s Palestine aid relief efforts.
Right now, the idea that she would respect an international arrest warrant for Benjamin Netanyahu or do anything significant to stop settlement expansion in the West Bank is laughable.
Like Harris, Walz has not made Israel a political priority. While he has been a bit kinder to the “uncommitted” movement than many of his peers, there’s no reason to believe that he represents a significant break with the standard Democratic line on Palestine.
You might say that it’s unrealistic to expect much more from Harris and Walz—that they’re valiantly trying to unite a divided party and that things might change once they get into office. Some Democrats are also clearly annoyed that the Gaza issue won’t just go away. The hostility Harris showed to pro-Palestinian protesters who disrupted her August 7 rally in Detroit—and the praise she received from much of the liberal commentariat for shutting them down—was evidence enough of that.
But the issue won’t go away, and the reason is simple: The genocide has not ended, and neither has America’s complicity in it. Israel is killing scores of Palestinians every day, frequently with US weapons. Famine is rampant, and leading Israeli politicians are speaking publicly about their desire to starve everyone in Gaza. Palestinian prisoners are recounting hideous experiences of torture and sexual assault at the hands of Israeli forces. And the Biden administration is just as implicated in these atrocities today as it was yesterday.
Palestinians in Gaza do not have the luxury of waiting or of moving on. They cannot feed themselves on rhetorical tweaks. A harsher tone will not protect them from US-made bombs. Winks and nods won’t end the genocide. Only force- ful action from the United States will. And Harris is not a tangential figure — she is the country’s sitting vice president, and she is running to be its president.
So rather than allow Harris and Walz to lull us into passivity around Gaza, we should redouble our efforts to hold the United States accountable for its participation in Israel’s war crimes.
It is not acceptable to let the Biden-Harris administration carry on sending weapons to Israel unimpeded. It is not acceptable to allow Harris and Walz to skate through this campaign without, at the bare minimum, pinning them down about their specific plans to stop Israel’s war crimes. It is not acceptable to be satisfied with a vibe shift.
Jack Mirkison
*https://en.wikipedia.org/wiki/The_Nation
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