Federica Iezzi
Amman (Giordania), 14 agosto 2024
Si sente spesso criticare l’attenzione apparentemente eccessiva riservata alla guerra a Gaza. Perché non il Sudan? O il Congo orientale? Etiopia, Somalia, Myanmar, Yemen: dove sono finiti nelle cartine geografiche?
L’accusa, sovente esplicita o ipocritamente velata, lotta tra odio antisemita o sostegno incondizionato a Hamas. Non viene in mente che si possano difendere i diritti dei palestinesi semplicemente perché esseri umani oppressi.
La domanda, in ogni caso, è legittima e merita una risposta. Dipende semplicemente da quale punto della storia si parte.
La portata della distruzione e della morte non ha molti paralleli nella storia recente. Dobbiamo cercare nelle campagne di genocidi che hanno insanguinato il passato – piuttosto che nei conflitti armati – per trovare cifre analoghe a quelle di Gaza.
L’annientamento degli esseri umani corre nello stesso senso della distruzione fisica di Gaza. Più della metà della popolazione è rimasta senza casa. I paralleli più vicini a Gaza, in termini di volume e velocità di distruzione, sono i bombardamenti strategici della Seconda Guerra Mondiale.
La Palestina è segnata da un conflitto mostruoso. Le guerre in Congo-K, Sudan o Siria sono complicate, con le loro innumerevoli fazioni, alleanze variabili e sostegno internazionale. Il conflitto tra palestinesi e israeliani non ha niente di complicato. È una situazione coloniale prototipo.
Visualizzare il crimine è fondamentale per entrare in empatia con le vittime. Lo sappiamo fin dalla Seconda Guerra Mondiale, quando gli Alleati si preoccuparono di documentare i campi di concentramento nazisti, con montagne di corpi segnati dalla morte, e di far circolare le immagini. La memoria antifascista che sopravvive oggi non può essere compresa senza di loro. Ecco perché l’Olocausto ci ripugna ancora. Perché lo abbiamo visto. Ed ecco perché oggi di fronte al massacro di Gaza la nostra anima si ribella. Perché lo stiamo vedendo.
Ma né l’insolita portata della distruzione né la proliferazione delle immagini spiegano da sole l’indignazione che proviamo. Siamo profondamente turbati e spaventati per l’atteggiamento disinteressato delle democrazie occidentali.
E per due ragioni: perché senza il sostegno dell’Occidente a Israele la situazione sarebbe molto diversa e perché il silenzio di un governo ci rende tutti colpevoli. È vero che l’indifferenza dell’Europa e degli Stati Uniti nei confronti dei crimini contro l’umanità non è una novità, ma lo è il sostegno incondizionato e pubblico ai responsabili. Il sostegno alle azioni di Israele a Gaza riduce l’umanità delle sue vittime. E l’alterità è un elemento costitutivo della disuguaglianza e del razzismo.
Il risveglio politico ispirato da Gaza ha dato voce alla nostra identità come esseri umani che, in maniera del tutto naturale, si identifica con gli oppressi contro l’oppressore. Gaza ci tocca perché qualcosa di fondamentale sta crollando. Si tratta della riabilitazione dell’imperialismo e del razzismo. Perché legittima i crimini contro l’umanità come modo di fare politica. Perché rappresenta una riduzione delle libertà – di manifestazione, di coscienza e di espressione – senza precedenti nelle democrazie occidentali dal 1945.
Durante la guerra in Vietnam, altri conflitti dissanguarono il mondo, alcuni dei quali orrendi come il conflitto in Angola o quello in Biafra. Hanno suscitato anch’essi costernazione ma mai così massiccia e su scala globale come quella del Vietnam.
Perchè nelle proteste contro il Vietnam, la gente ha combattuto contro il colonialismo e il militarismo, contro il razzismo e la guerra, contro la corsa agli armamenti e contro ogni violenza sostenuta dall’Occidente nel sud del mondo. Ci sono momenti in cui un conflitto riassume e ingloba tutti i conflitti: negli anni ’60 era il Vietnam, negli anni ’80 l’apartheid in Sudafrica, negli anni ’90 la Jugoslavia. Oggi è la Palestina.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
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