Federica Iezzi
Amman (Giordania), 10 agosto 2024
Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, dall’inizio della guerra, ha puntualmente presentato un’analisi dettagliata della situazione. Accertamento delle responsabilità dei crimini commessi a Gaza e in Cisgiordania, embargo sulle armi, sanzioni verso Israele per imporre un cessate il fuoco e invio di una presenza internazionale per proteggere la Palestina sono punti focali spesso toccati.
Albanese ha un mandato del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che comprende l’investigazione delle violazioni, l’effettuazione di visite o missioni regolari e la stesura di relazioni sui risultati. L’abbiamo intervistata per Africa ExPress
C’è un po’ di confusione quando si parla di Territori Palestinesi Occupati. L’occupazione militare c’è ai sensi della Convenzione dell’Aja (art.42), quando c’è controllo effettivo del territorio. Ci può spiegare cosa significa? Per la Cisgiordania, per Gerusalemme Est e per la Striscia di Gaza?
Il Territorio Palestinese Occupato è ciò che resta dalla spartizione della Palestina del 1947. Inizialmente il 45 per cento di questa terra sarebbe dovuta diventare lo Stato Arabo. Dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948, invece, lo Stato israeliano ha inglobato l’80 per cento della Palestina storica.
Oggi, gli stralci rimasti sono Territorio Palestinese Occupato, che comprende Striscia di Gaza, Gerusalemme Est e Cisgiordania.
I tre territori sono amministrati (e sono stati trattati) in maniera differente da Israele, sin dal 1967. Questo per acuire la frammentazione della regione e la separazione tra i palestinesi.
In queste zone c’è un’occupazione militare che fa scattare gli obblighi previsti dalla Convenzione dell’Aja e dalle Convenzioni di Ginevra in materia di conflitti armati.
Perché Gaza è sempre stata trattata in modo diverso? Gaza rappresentava il più grande campo di rifugiati al mondo. Il 75 per cento dei suoi abitanti nel 1947-1949 erano figli della Nakba, cioè l’esodo forzato dei palestinesi. Israele ha cercato in ogni modo di favorire la loro migrazione da Gaza, senza successo, mettendo in atto dunque la tanto discussa politica di quarantena, di isolamento della popolazione. Ancor di più oppressa dopo il 2007 dall’assedio.
Per quanto riguarda Gerusalemme, Israele la considera – illegalmente – annessa. La considera parte del proprio territorio, però senza riconoscere i diritti di cittadinanza ai palestinesi che la abitano.
Mentre, il resto della Cisgiordania è ancora terra aperta alla conquista, visto che Israele, dal 1967 ad oggi, ha stabilito circa 300 colonie per 800.000 israeliani-ebrei. Lo Stato israeliano ha dichiarato la maggior parte di questi territori in Cisgiordania, annessi. Quindi sotto la sua giurisdizione civile. Il fatto che consideri o tratti in maniera distinta queste aree, non altera minimamente lo status di occupazione militare in corso, che è illegale. Oggi stabilito, con chiarezza e perentorietà, anche dalla Corte Internazionale di Giustizia.
La declamata soluzione a due Stati non è possibile finché si mantiene un’occupazione militare. La IV Convenzione di Ginevra, sancisce che ‘la potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua popolazione civile nel territorio da essa occupato’. A questa si aggiunge la risoluzione 446 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 1979, che ne ha esplicitamente riconosciuto l’illegalità. La risoluzione ONU 2334 del 2016 condanna tutti gli insediamenti israeliani nei territori occupati. Oggi anche il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia decreta illegittima l’occupazione da parte di Israele dei Territori Palestinesi. Perché dunque la comunità internazionale non fa nulla?
La comunità internazionale non se la sente di prendere posizione nei confronti di Israele per una serie di ragioni, ipocritamente storiche. Basta una lettura in chiaro, di quello che è successo 80 anni fa, per capire la linea di pensiero degli Stati Occidentali. A chiudere il quadro ci sono anche interessi economici e finanziari.
Ma il motivo fondamentale però è una affinità elettiva da suprematismo bianco. Bianco, che vede in Israele una parte di se, mentre l’altro è rappresentato dagli arabi, dai musulmani, dalle persone di colore. Israele e Palestina oggi sembrano l’ultima frontiera di un confronto mai risoltosi tra nord globale e sud globale.
Secondo la Corte Internazionale di Giustizia, Israele non può invocare il diritto all’autodifesa, previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce provenienti dal territorio che occupa e contro la popolazione. Perché, nonostante una estesa e chiara legislazione sull’argomento, si continua a parlare di legittima difesa?
Il diritto all’autodifesa, nella Carta delle Nazioni Unite, sancisce il diritto di uno Stato di utilizzare la forza, uso bandito nel nostro ordinamento internazionale fatta eccezione per due casi: quando sia autorizzato dal Consiglio di Sicurezza o in caso di autodifesa. L’autodifesa si può dichiarare quando c’è aggressione da parte di un altro Stato.
In questo caso, non solo non c’è aggressione da parte di un altro Stato ma Israele occupa il territorio palestinese, peraltro con un regime di apartheid. E’ consequenziale che ad un regime di oppressione si creino delle forme di resistenza.
Questo non significa giustificare né quello che Hamas ha fatto lo scorso 7 ottobre, né altre forme di resistenza che violino il Diritto Internazionale.
La resistenza del popolo palestinese è legittima ma deve rispettare i limiti del Diritto Internazionale.
La risposta a ogni violazione va data in termini di riaffermazione del diritto. Bisognava investigare e assicurare alla giustizia coloro che hanno commesso crimini, invece di lanciare un’operazione militare, la quale – si è chiaramente visto – non è né votata a liberare gli ostaggi, né ad eliminare Hamas.
Non c’è stato nessun attacco che si possa definire di precisione a Gaza. Non si può parlare nemmeno di guerra. E’ un genocidio. E’ una guerra tra uno degli eserciti più sofisticati al mondo e un popolo quasi inerme. E’ vero che Hamas si sta difendendo. Ma è chiaro che è impossibile da annientare perché è resistenza popolare. E la resistenza non si può debellare, perché fa parte dell’essere umano che chiede dei diritti. E’ stato eroso tutto lo spazio che i palestinesi hanno tentato di creare anche per una resistenza non violenta.
La efferatezza del tentativo di sterminare gli ebrei d’Europa, legittimò lo Stato israeliano. Un crimine abominevole è stato riparato offrendo agli ebrei di tutto il mondo un rifugio dove potessero vivere in pace e sicurezza, liberi da persecuzioni. La riparazione della vergogna europea nata nell’orrore dei campi nazisti, si è accompagnata all’ingiustizia commessa contro i palestinesi. Cosa ne pensa?
All’interno delle Nazioni Unite si sa esattamente che cosa ha significato la creazione dello Stato d’Israele per i palestinesi e in termini di ingiustizia internazionale. Si usciva da un periodo storico che vedeva gli ebrei, vittime di persecuzioni in Europa, privi di un posto sicuro. Sembrava un’operazione di giustizia soddisfare le legittime istanze del popolo ebraico permettendo la creazione di uno Stato solo per gli ebrei, la cui persecuzione, culminata con l’olocausto, era un elemento propulsore per la creazione dello Stato di Israele.
Il problema comincia nel momento in cui quello Stato viene immaginato in una terra già abitata, con un governo, una cultura, una società. Così sono cominciate le ingiustizie. I palestinesi con cittadinanza israeliana (erroneamente chiamati arabi israeliani), sono stati sottoposti per 20 anni alla legge marziale. Sfollati dai propri villaggi, dalle proprie case, dalla propria terra. Ai 7 milioni di rifugiati del 1948 e del 1967, non è stato mai permesso di rientrare. Stesso trattamento nei confronti dei palestinesi che non facevano parte della struttura militare dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ndr) o di chiunque avesse una voce che potesse ispirare la resistenza palestinese.
Ovviamente è cresciuta la solidarietà tra la gente. E così oggi sono tanti a pagare, non tanto per l’identità palestinese, quanto per la solidarietà con il popolo palestinese.
La Comunità Internazionale dell’epoca ha pensato di risolvere nel solito modo: disponendo delle terre e delle risorse dei popoli – che oggi chiameremmo del sud del mondo – a proprio piacimento. Questa è un modo di pensare coloniale. Se rattrista e sconvolge che questa mentalità potesse essere predominante 80 anni fa, è scioccante che si giustifichi ancora oggi.
Oggi la quasi totalità del mondo occidentale condanna giustamente l’antisemitismo, ma sostiene fino alla complicità una nazione genocidaria composta dai discendenti dei sopravvissuti alla Shoah. Si continua a confondere l’olocausto con i campi di concentramento, ma questi ultimi sono stati solo la parte finale di un processo di disumanizzazione, di umiliazione, di persecuzione di un popolo. Come è possibile non vedere l’analogia con quello che i palestinesi stanno vivendo? Come è stato possibile arrivare all’attuale negazione dei diritti di un popolo?
L’analogia è nella discriminazione e nel razzismo. Negli ultimi 10-15 anni si è intenzionalmente lasciato nel vago il concetto di l’antisemitismo. Non è escluso che ci possano essere stati argomenti o frasi, utilizzati contro lo Stato di Israele, a base antisemita. La critica per le performance in termini di diritti umani e scarsa conformità al Diritto Internazionale, è uno scrutinio essenziale e necessario che si applica a tutti gli Stati. Perché Israele dovrebbe essere al di sopra delle leggi?
Come dice lo storico Raz Segal, Israele è nato come uno Stato di eccezione. Sin dall’inizio è stato un Paese avulso dall’applicazione della legge. E’ nato commettendo un’ingiustizia, è nato violando gli stessi principi che venivano in parallelo sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948. Se da una parte la Comunità Internazionale prometteva e imponeva il rispetto di determinati diritti, al tempo stesso molti di quei diritti li violava, riconoscendo l’esistenza dello Stato di Israele, derubando case, terre, vite e squarciando la patria di oltre un milione di persone. L’argomento “antisemitismo” è diventato un passe-partout nelle mani di coloro che sostengono a spada tratta lo Stato di Israele.
La guerra genocida che Israele ha lanciato contro Gaza ha acuito un sentimento antisemita. E va risolto ragionando sul perché gli ebrei vengano associati a Israele. Questo è veramente pericoloso.
L’intento manifesto alla distruzione di un popolo, nel caso della Palestina, è chiaro. E il nome, coniato dall’umanità, è genocidio. Il divieto del genocidio è una norma di ius cogens, così fondamentale per i valori della comunità internazionale, da non poter essere derogato da nessuna delle parti. Fin dal primo giorno sono stati presi di mira, dall’esercito israeliano, ospedali, scuole, rifugi. Ma anche panifici, impianti di desalinizzazione dell’acqua, luoghi sacri e di culto, centrali elettriche, strade. Questa è una strategia pianificata e intenzionale per ripulire Gaza dai civili. E’ così?
Ho pensato fino alla presa di Rafah che fosse così, cioè che Israele stesse veramente cercando di allontanare quanti più palestinesi possibile, uccidendoli o ferendoli. Però Gaza è sigillata, non c’è nessun posto nel quale i palestinesi possano scappare. C’è la distruzione di un popolo nella maniera più fisica e brutale che purtroppo la storia ha già insegnato. Ed è una maniera industrializzata di ammazzare le persone, con l’intelligenza artificiale, con armi inadeguate per combattere una guerriglia urbana. Il problema incidentale è che tutto questo toglie forza e efficacia al Diritto Internazionale.
Sembra che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sia paralizzato. Come è possibile garantire, e chi può garantire, che entrambe le parti in conflitto rispettino il Diritto Internazionale Umanitario?
Il quadro normativo e gli strumenti a disposizione per attuarlo sono sempre gli stessi. Ma manca la volontà politica. Anzi c’è la volontà politica proprio di andare nel verso contrario, schermando Israele dall’applicazione della legge.
Cessate il fuoco, fine dell’occupazione illegale, sospensione dell’espansione delle colonie: tutto paralizzato a causa della mancanza di volontà politica, principalmente degli Stati Uniti. Ma anche dell’Europa, che si trova in una posizione di vassallaggio nei confronti di Stati Uniti e Israele.
Gli Stati, invece, potrebbero imporre sanzioni, sospendere le relazioni economiche, gli accordi commerciali, l’import, l’export, gli accordi con le università e tutte le forme di partenariato. Cioè tagliare le relazioni con Israele, fino a che non si conforma al Diritto Internazionale.
Accanto ci sono le relazioni politiche e diplomatiche. E’ assurdo che Israele continui ad abusare del diritto e delle sedi preposte al rispetto dello stesso, senza conseguenze. Crea un precedente ed è un vizio di sistema.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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Per approfondimenti
– Anatomy of a Genocide
Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territory occupied since 1967 to Human Rights Council – Advance unedited version [A/HRC/55/73]
March 24, 2024
– J’accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra
Francesca Albanese, Christian Elia
Editore Fuoriscena
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