Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
18 luglio 2024
Nessun dubbio in Ruanda. Una vittoria senza spettacolo, né colpi di scena. Paul Kagame rimane il leader indiscusso, appoggiato dalla forza del suo partito, il Fronte Patriottico Ruandese (FPR – Front Patriotique Rwandais).
Con il 99 per cento delle preferenze, per Kagame inizia dunque il quarto mandato presidenziale. Seconda posizione per Frank Habineza, il candidato del Partito Democratico Verde del Ruanda, con poco più dello 0,5 per cento dei voti. Al terzo posto l’indipendente Philippe Mpayimana, con l’irrisorio 0,3 per cento. I grandi oppositori, Stima Diane Rwigara, Victoire Ingabire, Bernard Ntaganda, erano stati tutti finemente esclusi dalle elezioni.
After all the time, work and effort I put in, I am very disappointed to hear that I am not on the list of presidential candidates. @PaulKagame why won't you let me run?
This is the second time you cheat me out of my right to campaign.Ndababaye.
— Shima Diane Rwigara (@ShimaRwigara) June 7, 2024
Fermando i massacri contro i tutsi, trent’anni fa, con le truppe dell’FPR, l’ex ribelle – che si è fatto le ossa nella macchina politica ugandese – si è assicurato il riconoscimento duraturo dei ruandesi e della comunità internazionale, rimasta immobile durante il genocidio, che causò quasi un milione di vittime.
Gestione autoritaria e coinvolgimento nel conflitto che dilania la parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, si contrappongono al “miracolo ruandese”, molto visibile e molto reale se si considerano le performance economiche e sociali che il Paese mostra solo tre decenni dopo la violenza che lo ha colpito.
Di questo genocidio, le cui cicatrici ancora emergono sui verdi pendii delle mille colline, Paul Kagame ne fece anche uno strumento politico per vigilare sulla sua popolazione. Indottrinamento o educazione? Probabilmente un po’ entrambi.
Il trauma intergenerazionale e la situazione nell’est della Repubblica Democratica del Congo hanno contribuito a serrare i ranghi attorno all’uomo che incarna la resistenza. Nell’immaginario collettivo, il gruppo ribelle ruandese anti-Kagame, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda – con ideologia Hutu e con il sostegno di Kinshasa – si continua a nascondere nelle foreste congolesi, pronto a finire “il lavoro” iniziato nel 1994. La realtà è evidentemente più complessa, ma la paura è sapientemente alimentata dal presidente.
Questi ultimi risultati elettorali definiscono chiaramente la dittatura di Kagame come uno degli stati di polizia più efficaci e brutali del 21° secolo. Secondo il rapporto Freedom in the World 2024, di Freedom House – organizzazione non governativa internazionale con sede a Washington – Kigali ha represso il dissenso politico attraverso la sorveglianza pervasiva, l’intimidazione, la detenzione arbitraria, la tortura e le violenze a carico di dissidenti in esilio.
Le limitazioni alla partecipazione dei cittadini al processo decisionale sotto la guida dell’FPR sono evidenti. Il concetto di Stato di diritto, inteso a promuovere il buon governo, è in gran parte assente. Il Parlamento non ha il potere di sfidare efficacemente l’esecutivo, dominato dai membri dell’FPR e dai loro alleati della coalizione.
La mancanza di indipendenza della magistratura, con alti funzionari nominati dal presidente e confermati dal Senato, dominato dall’FPR, si traduce in poche preziose sentenze contro il governo.
Nonostante l’impressionante crescita economica del Ruanda, come riconosciuto dalla Banca Mondiale, il Paese non è inclusivo e deve far fronte a carenze in settori cruciali, quali istruzione e sanità, per mostrare un’autentica trasformazione sociale ed economica.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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