NEWS ANALYSIS
Federica Iezzi
9 luglio 2024
Se l’impunità di cui Israele gode, a dispetto delle decisioni delle istituzioni del diritto internazionale, è oggi palese, per giustificare la distruzione di Gaza è stato utilizzato un discorso civilizzatore e sradicatore, blindato in un’innocenza democratica, dal nome “diritto a difendersi”.
Questa formula viene spesso in mente anche a molti leader occidentali per dare carta bianca a Tel Aviv nelle operazioni che porta avanti contro i palestinesi, in una logica coloniale e sterminatrice.
Tutti gli stereotipi, gli eufemismi, i processi di legittimazione, utilizzati per ottenere l’accettazione del genocidio sulla Striscia di Gaza, hanno origini molto lontane. L’eradicazione dei nativi americani fu giustificata descrivendoli come orde selvagge che attaccavano periodicamente innocenti comunità di pionieri anglosassoni. Così è stata costruita la più grande democrazia del mondo. Stessa sorte è toccata alle vittime delle violenze dei Ku Klux Klan.
I fatti e la loro veridicità contavano poco. Niente aveva bisogno di essere dimostrato o supportato. Ciò che contava era l’orrore dell’accusa, il luogo e la forza di coloro che l’avevano lanciata, il luogo e la debolezza di coloro che designava e il terreno sicuro su cui era stata schierata.
È sorprendente vedere quanto poco sia variato lo stile delle accuse e delle inversioni di vittimizzazione che l’ordine coloniale usa contro coloro che massacra.
Il ministero della Sanità di Gaza sta riportando il numero di corpi non identificati nel bilancio totale delle vittime della guerra. Autorità israeliane e funzionari internazionali hanno etichettato questo sviluppo, progettato per migliorare la qualità dei dati, come mezzo per minarne la veridicità.
L’ultimo report su The Lancet, tra le più quotate riviste medico-scientifiche nel panorama mondiale, sottolinea che documentare la reale portata delle vittime è fondamentale per garantire la responsabilità storica e riconoscere l’intero costo della guerra. Oltre ad essere un requisito legale.
Quanto sta accadendo a Gaza appare per l’Occidente come un pericoloso promemoria. Definisce chiaramente le condizioni in cui il razzismo più disinibito e presunto può ancora scatenarsi liberamente, beneficiare di un ampio consenso e non solo di una complice indifferenza. È stato scomodato per secoli senza porre troppi problemi filosofici, giuridici o morali alla coscienza occidentale.
Gaza dimostra come un massacro costantemente condiviso possa essere ampiamente accettato e dimostra fino a che punto l’opposizione possa essere controllata, repressa, emarginata, ridotta allo stupore o alla protesta impotente.
Dalla caduta del nazismo e dalla fine degli imperi coloniali, la funzione di Israele è stata quella di salvare la grande narrativa occidentale. Permette all’Occidente di perpetuare la finzione di percepire se stesso attraverso idee di democrazia, civiltà, progresso e innocenza.
Nel 1943 l’ufficio stampa del Reich presentò il piano di sterminio ebraico dei popoli d’Europa. Goebbels scrisse “Se le potenze dell’Asse perdessero la battaglia, niente potrebbe salvare l’Europa dall’ondata giudeo-bolscevica”. Coloro che oggi continuano a evocare lo sterminio degli ebrei d’Europa per arruolarne la memoria a favore del sionismo, riprendendo senza scrupoli gran parte dei luoghi comuni che lo giustificavano, fingono di ignorare che esso fu reso possibile solo da un lungo processo ideologico, giuridico, sociale, linguistico e di polizia, che viene riproposto proprio oggi contro i palestinesi.
La continua invocazione dell’attacco di Hamas a Israele, lungi dall’attenuare o qualificare il carattere genocida della distruzione di Gaza, conferma e completa ampiamente il processo di giustificazione dello Stato israeliano. Non esiste genocidio che non sia così motivato e presentato come una necessità. Tutti i genocidi hanno il loro “7 ottobre”, che hanno reso sacro per usarlo, spesso a posteriori, come un assegno in bianco, un’autorizzazione a sterminare, addirittura un dovere di sterminare per non esserlo a propria volta.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
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