Federica Iezzi
6 luglio 2024
Il primo contingente della Missione di Sicurezza Multinazionale (MSSM – Multinational Security Support Mission), guidato dal Kenya e sostenuto dalle Nazioni Unite, è arrivato ad Haiti, quasi due anni dopo la disperata richiesta del Paese, volta a frenare l’aumento della violenza legata alle bande armate che scorrazzano ovunque.
La comprensione del contesto locale e la mappatura del conflitto tra le gang, che controllano territori e quartieri, rimangono le più grosse sfide. Le domande chiave rimangono ancora senza risposta e permane la possibilità di danni civili ancora maggiori.
In seguito alle dimissioni dell’ex primo ministro haitiano, Ariel Henry, i colloqui politici avviati lo scorso anno sotto la guida della Comunità Caraibica (CARICOM), hanno portato alla creazione di un consiglio presidenziale transitorio, guidato da Gary Conille. L’attuale governo di transizione si è impegnato a indire elezioni e a cedere il potere all’inizio del 2026.
Secondo il documento operativo, redatto all’inizio dell’anno tra Kenya e Haiti, l’obiettivo della missione sarà quello di rendere le autorità haitiane credibili ed efficaci, con la capacità di mantenere le condizioni di sicurezza necessarie per elezioni libere ed eque.
Nessuna sequenza temporale, dunque, e mancano obiettivi generali. “Saranno le autorità haitiane a decidere dove gli agenti saranno dislocati e le regole di ingaggio. Si tratta di un contingente che risponde agli ordini della polizia nazionale e delle forze armate haitiane”. E’ quanto dichiarato dal ministro della giustizia e della pubblica sicurezza a Haiti, Carlos Hercule.
La struttura della forza e la mancanza di supervisione delle Nazioni Unite hanno sollevato interrogativi su chi avrà il controllo finale delle operazioni. Un approccio che si concentri esclusivamente sui gruppi armati haitiani e non sulle reti più ampie di sostegno tra le élite politiche ed economiche, otterrà solo vantaggi a breve termine.
La storia dei tentativi di stabilizzazione della pace ad Haiti riporta alla memoria la missione MINUSTAH (Mission des Nations Unies pour la Stabilisation en Haïti), marchiata da scandali, impunità e interferenze politiche dal 2004 al 2017, e la risposta degli haitiani oggi è un misto di entusiasmo, indifferenza e delusione. La storia mostra che quando forze straniere operano impunemente, il sistema di responsabilità diventa ancora più opaco e ancora più discrezionale.
Anche con solide garanzie, le cause profonde dell’insicurezza di Haiti non possono essere affrontate da un intervento di sicurezza straniero. Infatti, storicamente, gli interventi esteri sono serviti a prevenire le riforme necessarie e hanno rafforzato uno status quo intrinsecamente insostenibile. Senza un profondo cambiamento politico e un nuovo approccio sociale, adottato dapprima dagli Stati Uniti e poi dall’intera comunità internazionale, ci sono pochi motivi per considerare quest’ultimo intervento diverso dai fallimenti del passato.
Da anni la società civile haitiana e le organizzazioni civiche invocano un cambiamento sistemico, una rottura con il passato. La domanda è se questa forza straniera fornirà lo spazio agli haitiani per ottenere il cambiamento che desiderano o se sarà ancora una volta utilizzata dagli interessi internazionali per portare avanti gli affari come al solito.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
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