Michael Backbone
Nairobi, 25 giugno 2024
Il Kenya è stato investito nei giorni scorsi da un’ondata di proteste di strada e manifestazioni in risposta alla proposta di legge finanziaria che il Parlamento avrebbe dovuto approvare entro la fine di giugno.
La legge finanziaria, che definisce l’ossatura della politica economica di un Paese per l’anno a venire, avrebbe dovuto entrare in vigore 1° luglio 2024 ma le manifestazioni di piazza hanno indotto il presidente William Ruto a soprassedere e non promulgarla.
La società civile ha segnalato il suo malcontento, facendo eco a un’ondata generalizzata di insoddisfazione che covava dal primo momento in cui il progetto di legge è stato pubblicato.
La situazione economica del Kenya ha sofferto parecchi rovesci nell’ultimo anno, primariamente dettati da un allineamento forzato ai dettami di politica fiscale “suggeriti” dal Fondo Monetario Internazionale dall’insediamento del nuovo Presidente Ruto nell’agosto del 2022: il debito estero del Paese assestandosi a circa 45 Miliardi di dollari accoppiato a un crollo del tasso di cambio dello scellino keniota contro le valute forti, ha creato una spirale inflazionistica che ha forzato il governo economico del Paese ad adottare misure impopolari nel corso del 2023/24 quali l’aumento del prezzo dei carburanti e dell’elettricità, seguiti nella legge finanziaria in via di approvazione da una politica fiscale di aumentato rigore per adeguarsi alle direttive FMI e così potere rifinanziare il debito sovrano del Paese.
Bisogna sapere che le importazioni keniote, dalle fonti di energia fossile all’alimentazione ai farmaci sono circa tre volte in valore di quelle esportate, primariamente prodotti della floricoltura e agricoltura: in sostanza per ogni container in partenza dal Kenya verso l’estero, tre entrano nel Paese.
Lo squilibrio e la dipendenza dal commercio estero sono stati la misura che ha spinto il Governo a politiche fiscali draconiane, quali l’applicazione dell’IVA a generi di prima necessità quali il pane.
La percezione della società civile, delle associazioni di categoria e industriali, della stampa del Paese e perfino dal clero, è stata che la politica economica era sospinta da un correre ai ripari stangando il contribuente Keniota con tasse e balzelli, per ricercare fonti di introito per ripianare parzialmente il debito estero, vicino al 40 per cento del prodotto interno lordo.
I giovani in particolare hanno organizzato manifestazioni pacifiche di protesta nelle strade della Capitale e di Mombasa represse con difficoltà dalle forze dell’ordine mediante lacrimogeni e idranti, ma la cosa interessante è che per la prima volta queste manifestazioni sono state chiamate tramite i social, TikTok e Instagram in particolare. I social in Kenya sono diffusissimi. Secondo recenti dati, li usa il 94 per cento della popolazione.
I primi dunque a manifestare il malcontento pubblicamente sono coloro i quali si sentono maggiormente esclusi dalle politiche del Governo, senza accesso al mondo del lavoro, con prospettive di crescita smorzate dall’incombente legge finanziaria e delusi dalla leadership del Presidente Ruto, il quale aveva fatto dei giovani della “GenZ” un gran pilastro del suo manifesto politico e visione del futuro.
E i giovani stanno rispondendo, facendo sentire la loro voce e finalmente influenzando il dibattito politico che sarà giudicato proprio su quanto gli interessi dei cittadini siano veramente a cuore della classe politica dominante.
In queste condizioni le scelte del presidente e della sua compagine politica sono state limitate: pur avendo la maggioranza assoluta in Parlamento, non ha voluto inimicarsi la fetta sempre più consistente di primi elettori che lo ha beneficiato con la Presidenza e non si è piegato ai diktat del ministro delle Finanze Njuguna Ndung’u e soprattutto dell’elefante nella stanza, poiché il Paese l’anno scorso si è presentato all’FMI con il cappello in mano chiedendo assistenza tecnica per l’elaborazione di un programma definito MTRS ovvero “Medium Term Revenue Strategy”. Il Kenya è in ostaggio della politica dei “prestiti-contro-riforme” necessaria per rintuzzare il debito.
C’è chi dice che il presidente sia ostinato, che non ascolti i suoi consiglieri, altri che invece affermano che la proposta di austerità contenute nella finanziaria avrebbero richiesto alla popolazione troppi sacrifici: rimane certo che le premesse sulle quali questa legge è stata preparata hanno enormemente sopravvalutato la capacità di reazione dell’economia keniota, definendo obiettivi irrealistici sia in crescita, ma soprattutto nei conseguenti ricavi da reddito fiscale.
Nel frattempo, la GenZ dice la sua in modo pervasivo e capillare tramite le reti sociali e la resistenza civile.
È difficile ipotizzare come evolverà questo scenario perché la situazione è estremamente fluida: per il momento gli scontri di piazza hanno messo in evidenza la forza repressiva del Governo, che però ha reagito alle lamentele proveniente da tutti i settori della società. Ma questo malcontento potrebbe degenerare, a meno che sia il Governo sia i suoi finanziatori non optino per misure meno coercitive e maggiormente diluite nel tempo.
Forse sarebbe ora che le politiche fiscali dettate a tavolino dagli esperti “dell’assistenza tecnica” FMI tenessero maggior conto del potenziale industriale da creare sul continente per renderlo maggiormente sovrano: forse in questo senso la filosofia del Piano Mattei ha i suoi meriti.
Michael Backbone
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