Elena Gazzano
Città del Capo, 18 giugno 2024
La vita non ha perso tempo nel mettere alla prova Solin Roman. La forza della sua passione per la vita lo ha portato a unirsi alla banda locale quando aveva 19 anni; e la stessa forza lo allontanò da quella crudele esistenza poco prima del suo 21esimo compleanno.
Ci sono storie che vivono nell’ombra, storie che la cronaca non rivela e che la società preferisce ignorare. In uno degli angoli più tormentati di Città del Capo, incastonato tra le strette vie di Manenberg, si svolge una guerra silenziosa e invisibile. È una guerra che si combatte quotidianamente nei vicoli e nelle case angosciate del quartiere. Solin Roman, con i suoi 21 anni di vita e gli occhi che raccontano storie di tormento e redenzione, è un veterano di questa battaglia.
Seduto davanti al suo schermo, Solin sembra un ragazzo qualunque, uno dei tanti giovani che riempiono le strade di Città del Capo. Ma il suo sguardo rivela una profondità che pochi alla sua età conoscono.
La sua storia inizia come tante altre nel mondo sotterraneo della malavita sudafricana: una famiglia segnata dalla criminalità. Un luogo dove la delinquenza è più di una scelta; offre protezione ed è un’eredità nel suo genere.
Parliamoci chiaro. Manenberg (un quartiere di Città del Capo, creato dal governo dell’apartheid per le famiglie di colore a basso reddito) non è esattamente il posto che viene in mente quando si pensa alle storie di redenzione. “Non ho scelto di unirmi ad una banda, è la banda che ha scelto me, la passione di restare in vita ha deciso per me”. In questa fogna dimenticata, il crimine è il respiro della vita. “I miei fratelli, i miei cugini, facevano già parte degli Americans“, dice Solin. Gli “americani” controllano ogni angolo di questa sanguinosa realtà. “Unirsi a loro è stato come respirare: una necessità.”
Gli Americans sono una delle gang più temibili di Manenberg, noti per la loro ferocia e il controllo spietato del territorio. Questa zona è il loro impero; non puoi entrare nel quartiere senza il loro permesso… se vuoi andartene via tutto intero.
A 19 anni Solin si unisce alla sua banda, e viene trascinato nel vortice delle attività criminali: rapine, spaccio di droga, violenze. Ogni azione era un passo più lontano dall’innocenza e un passo più vicino verso lo “tshappie” (un tatuaggio che simboleggia a quale banda si appartiene).
Non c’è romanticismo nella sua storia. Gli Americans furono i mentori di Solin per caso e i suoi rapitori per destino. “Avevano il quartiere in pugno, con esso la mia vita”, dice con cruda onestà.
Ecco in un video l’intervista a Solin Roman
Chiamarla scelta sarebbe un’iperbole. Era una trappola inevitabile, un destino già scritto. “Non mi sono mai chiesto se volevo quel tipo di vita, perché non ho mai conosciuto un’alternativa – aggiunge -. Le cose diventavano sempre più difficili a casa. Non c’era abbastanza cibo. Volevo cambiare, magari trovare un lavoro e aiutare mia madre.”
E poi, un cambiamento. Un barlume di speranza. “Robin, un mentore spirituale, mi ha visto in un video sui social media”. Non era un santo con l’aureola, ma un uomo che non accettava di vedere un’altra vita stroncata. “Ha contattato la mia famiglia, ha insistito, ha lottato per farmi entrare nel programma di riabilitazione Sons of God”.
“Quando ho iniziato il programma non è stato facile – ammette Solin con lo sguardo perso nei ricordi -. Ma ogni giorno diventava più chiaro che questa era la strada giusta. Prego ogni giorno, per me e per la mia famiglia. Voglio disperatamente fare la differenza.”
La trasformazione di Solin è un viaggio difficile, la strada verso la redenzione costellata di tentazioni e pericoli, dove il passato si manifesta come un’ombra insidiosa, sempre pronta a sussurrarti all’orecchio. Ma Solin è determinato. “In questo momento – spiega – il programma mi ha cambiato fisicamente e spiritualmente. Voglio una famiglia, voglio un lavoro. Sogno una vita normale, lontana dalla violenza”.
La lotta di Solin non è solo contro il suo passato, ma contro un sistema che ha radicato il gangsterismo nel tessuto stesso della sua comunità. Manenberg è un luogo dove il crimine non è solo un’opzione, ma una necessità imposta dalle circostanze. Povertà e mancanza di sicurezza trasformano la vita di molti giovani in una lotteria crudele, dove il biglietto vincente è spesso una condanna penale.
Quando gli viene chiesto del suo ritorno a Manenberg, Solin non mostra paura. “Mia madre è felice per me – dice con un sorriso appena percettibile -. La gente di Manenberg è la mia tifosa numero uno e comincia a capire che il cambiamento è possibile”.
Com’è burlona la vita, presentandoci sfide diverse ad ogni angolo, eppure a volte è la nostra passione ardente che diventa sia il nostro rapitore che il nostro liberatore.
La storia di Solin Roman è un vivido esempio di questa realtà, una testimonianza che il potere della trasformazione e della speranza può raggiungere anche luoghi oscuri come Manenberg.
Elena Gazzano
elenagazzano6@gmail.com
https://www.instagram.com/elena.gazzano/
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo. Specifica se vuoi essere iscritto alla Mailing List di Africa Express per ricevere gratuitamente via whatsapp le news del nostro quotidiano online.
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 21 dicembre 2024 Niente pace – al meno…
Dalla Nostra Inviata Speciale EDITORIALE Federica Iezzi Gaza City, 20 dicembre 2024 In Medio Oriente…
Speciale Per Africa ExPress Raffaello Morelli Livorno, 12 dicembre 2024 (1 - continua) Di fronte…
Africa ExPress Cotonou, 18 dicembre 2024 Dall’inizio di settembre 2024 è attivo il Centro Ostetrico…
Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau 17 dicembre 2024 Un festival panafricano. In Arabia, Europa,…
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 16 dicembre 2024 Due multinazionali sono responsabili della disfunzione…