Elena Gazzano
Città del Capo, 16 giugno 2024
Cyril Ramaphosa è stato rieletto presidente del Sudafrica, consolidando la sua leadership in un momento di grandi cambiamenti per il Paese. La sua conferma, avvenuta due settimane dopo il voto nazionale, è stata ratificata durante la prima seduta della 7ª Assemblea Nazionale al Cape Town International Convention Centre (CTICC), anche se era orami una conclusione scontata.
Nel suo discorso di accettazione, Ramaphosa ha cercato di rassicurare i membri del parlamento e la nazione: “Questo è l’inizio di una nuova era. Il Sudafrica è cambiato profondamente dai risultati delle elezioni del 2024, e le decisioni che abbiamo preso sono nel miglior interesse del nostro Paese. Lavoreremo insieme per un Sudafrica più giusto e prospero.” Ma le sue parole, per quanto benintenzionate, hanno sollevano una questione molto critica: queste promesse saranno mantenute o si dissolveranno come fumo nel vento politico sudafricano? Le divisioni profonde, le accuse di corruzione, e le alleanze instabili sono dei giganti che minacciano di paralizzare il governo prima ancora che possa iniziare a lavorare.
Finalmente, due settimane dopo le elezioni nazionali, il Sudafrica ha un nuovo governo. La settima Assemblea nazionale ha tenuto la sua prima seduta al CTICC, dove i membri del parlamento hanno prestato giuramento e tenuto discorsi: a tratti, sembravano più episodi di un dramma politico che momenti di vera leadership.
Non si è potuto non notare l’assenza del partito MK (Mkhonto we Sizwe), la cui sedia vuota riecheggiava il malcontento e le accuse di frode elettorale. Un gesto simbolico, certo, ma che lascia poco spazio all’immaginazione sulla serietà di questo partito.
I due raggruppamenti politici, African National Congress (ANC) e Democratic Alliance (DA) hanno infine siglato un accordo per formare un governo, un’alleanza che potrebbe sembrare un matrimonio di convenienza o un patto del diavolo. John Steenhuisen, leader di DA, e Fikile Mbalula, segretario generale di ANC, hanno confermato l’accordo con una calma che a malapena nascondeva l’urgenza della situazione.
Questi eventi hanno segnato un’importante svolta: il Sudafrica ha ora un governo di coalizione, non di maggioranze. L’epoca dei partiti dominanti sembra essere giunta al termine.
I discorsi di congratulazioni si sono rapidamente trasformati in piattaforme di frecciatine politiche e dichiarazioni programmate. Il leader della DA, John Steenhuisen, visibilmente soddisfatto, ha dichiarato: “Oggi è un giorno storico per il nostro Paese e penso che sia l’inizio di un nuovo capitolo. Un nuovo capitolo di costruzione, cooperazione, e di mettere il nostro Paese e i suoi interessi al primo posto.” Eppure, queste parole suonavano vuote per molti, viste le alleanze precarie e le promesse spesso infrante del passato. Difficile non vedere in queste affermazioni un certo grado di ipocrisia, considerato che proprio la DA ha spesso accusato l’ANC di essere incapace di governare efficacemente.
Dall’altra parte, Julius Malema, leader di’EFF (Economic Freedom Fighters), ha mantenuto il suo solito tono provocatorio: “Abbiamo contestato perché volevamo dimostrare al Sudafrica che non siamo d’accordo con questa unione che consolida il potere monopolistico bianco sull’economia e sui mezzi di produzione in Sudafrica. Questo matrimonio cerca di minare il cambiamento delle relazioni di proprietà nel paese. La storia vi giudicherà e lo farà duramente.” Le sue parole incendiarie, hanno messo in luce le profonde divisioni che ancora segnano il tessuto sociale e politico del Sudafrica. Malema ha sempre giocato il ruolo di guastafeste, ma in questa occasione, le sue critiche hanno risuonato con una verità scomoda per molti.
Nel frattempo, l’IFP, con un approccio più moderato, ha espresso supporto, ma con riserve. “L’IFP è pronta a servire nel governo di unità nazionale, sapendo che il Sudafrica è completamente cambiato dai risultati delle elezioni del 2024. Entriamo nella GNU con mente aperta e occhi ancora più aperti. Sosterremo ogni decisione giusta del Presidente, ma dove dobbiamo dissentire, lo faremo e avanzeremo valide ragioni.” Parole che riflettono un cauto ottimismo ma anche un velato scetticismo.
Il parlamento, riunito nel Cape Town International Convention Centre, ha visto discorsi che oscillavano tra l’entusiasmo della cooperazione e la critica amara ad “alleanze forzate”.
Il segretario generale dell’ANC, Fikile Mbalula, ha annunciato che “la maggior parte dei partiti è stato concorde sulla creazione di un governo di unità nazionale. Questo includerà la cooperazione nei rami esecutivo e legislativo.” Tuttavia, questo primo incontro dell’Assemblea Nazionale ha messo in evidenza la fragile alleanza che tiene insieme il nuovo governo del Sudafrica. Con una scena politica così frammentata, le vere intenzioni dietro le mosse di ogni partito rimangono avvolte nel mistero. La cooperazione sarà davvero possibile, o ci troviamo di fronte a un governo destinato a crollare sotto il peso delle proprie contraddizioni?
La democrazia sudafricana, giovane e fragile, è ora messa alla prova come mai prima d’ora. La capacità dei suoi leader di navigare attraverso questo periodo tumultuoso determinerà non solo il futuro politico del paese, ma anche il suo tessuto sociale ed economico. Questo momento potrebbe essere un’opportunità di crescita e maturazione, o il preludio di un declino inarrestabile.
Il Sudafrica, una nazione di incredibili contrasti, si trova di fronte a una fase cruciale della sua esistenza. Le promesse di unità e progresso sono allettanti, ma la realtà delle divisioni etniche, economiche e politiche rimane un fardello pesante. Saranno le alleanze politiche in grado di sopravvivere alle pressioni interne ed esterne? E le promesse di cambiamento, si tradurranno in azioni concrete? Oppure dovremmo prepararci ad un’ era di conflitti e delusioni?
Elena Gazzano
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