Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
10 giugno 2024
Durante una piccola cerimonia nella base 101 a Niamey, venerdì scorso è iniziata ufficialmente la smobilitazione degli americani in Niger. Sabato hanno lasciato il Paese 269 militari su un totale di 946. Insieme al primo contingente, sono state caricate anche svariate tonnellate di materiale su un C-130, un grosso areo da trasporto.
Durante il suo breve intervento di venerdì scorso, Mamane Sani Kiaou, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, ha dichiarato che saranno garantite la protezione e la sicurezza delle truppe americane. L’accordo tra Washington e Niamey prevede infatti le autorizzazioni di sorvolo e atterraggio, nonché l’organizzazione di convogli terrestri tra le varie postazioni americane in Niger.
Il 16 marzo il governo golpista di Niamey aveva chiesto agli Stati Uniti di ritirare le proprie truppe dal Paese africano. Così Washington ha cominciato a sgombrare il campo, operazione che dovrà essere completata entro il 15 settembre prossimo, secondo un accordo siglato a maggio tra il ministro della Difesa nigerino, Salifou Modi e l’assistente segretario alla Difesa statunitense per le operazioni speciali e i conflitti a bassa intensità (LIC, low intensity conflict), Christopher Maier.
I soldati di Washington che si trovano ancora nell’ex colonia francese, sono dislocati a Oullam, nella regione di Tilabéri, cosiddetta area delle tre frontiere (Niger, Mali, Burkina Faso), dove i terroristi sono molto attivi. Altri sono a Diffa (nell’estremo est del Paese), zona che confina con il bacino del lago Ciad, particolarmente battuta da Boko Haram e i loro cugini di ISWAP (fazione che nel 2016 si è separata dal raggruppamento originale e ha giurato fedeltà allo stato islamico).
La maggior parte degli americani sono però di stanza alla base 201 di Agadez, la cui costruzione è costata più di 100 milioni di dollari. Dista quasi 1000 chilometri dalla capitale ed è stata progettata per l’utilizzo di voli di sorveglianza con e senza equipaggio e altre operazioni. Ma dal golpe militare dello scorso anno, è praticamente inattiva, la maggior parte dei droni, che un tempo monitoravano le attività jihadiste nei Paesi africani instabili, sono stati messi negli hangar.
Le infrastrutture dovrebbero essere restituite alle autorità nigerine, mentre tutte le attrezzature sensibili, cioè le postazioni di lavoro, veicoli, armi e molto ancora, saranno rispedite negli Stati Uniti o utilizzate in altri Paesi dove i militari di Washington sono attualmente operativi.
Per poter rispettare la scadenza del 15 settembre 2024 imposta da Niamey, Washington dovrà affrontare un sfida logistica non indifferente. Nonostante sia stato messo un punto finale alla cooperazione militare, i due Paesi collaboreranno in altri settori. Tra qualche settimana è atteso un nuovo accordo tra l’Agenzia americana per lo Sviluppo (USAID) e il Niger.
A metà aprile, appena un mese dopo aver ufficializzato il benservito agli americani, è arrivato il primo contingente russo in Niger, ufficialmente si tratta di personale militare volto all’addestramento delle truppe nigerine impegnate nella lotta contro i continui attacchi dei terroristi.
Ma i russi non sono i soli a collaborare con le forze armate di Niamey. A settembre si sono insediati i mercenari siriani, al soldo di SADAT International Defense Consultancy, società militare privata turca che ha stretti legami con il regime Recep Tayyip Erdogan. Dunque sono arrivati ben prima dei contractor russi dell’Africa Corps (ex Wagner).
La giunta militare di transizione nigerina nega ovviamente l’impiego di mercenari stranieri, come la maggior parte dei Paesi dove i soldati di ventura sono attivi. La Turchia sta intensificando le sue iniziative con i regimi militari del Sahel, in particolare in Niger, un Paese chiave al confine meridionale della Libia.
La presenza di Ankara in Africa è imponente. Basti pensare che le sue rappresentanze diplomatiche sono presenti in 40 Paesi e la sua compagnia aerea, la Turkish Airlines, copre 58 destinazioni nel continente nero. E non per ultimo l’Agenzia di cooperazione e di sviluppo turca (Tika) è attiva in molti Stati africani anche con lo scopo di promuovere investimenti. Tra questi la vendita dei droni Bayraktar TB2, costruiti dalla Baykar Technologies di Esenyurt (la società è interamente controllata dalla famiglia Bayraktar; il presidente del consiglio d’amministrazione è Selçuk Bayraktar, genero del presidente turco Recep Tayyp Erdogan avendone sposato la figlia Sümeyye, ndr).
E, come riporta Repubblica in un suo articolo di sabato scorso, nel nord del Niger Ankara ha allestito una base di droni da dove partono i Bayraktar TB2, versione a lungo raggio.
Oltre ai vari attori internazionali, attualmente sono ancora presenti solo due contingenti di Paesi europei. Tra questi un centinaio di soldati tedeschi in una base di trasporto aereo, situata nella periferia della capitale. Niamey e Berlino hanno siglato poche settimane fa un accordo che permette alla Germania di continuare a utilizzare tale appoggio logistico.
Anche le truppe italiane, nell’ambito della Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (MISIN) si trovano ancora in territorio nigerino. A fine marzo Giovanni Caravelli, direttore dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE, cioè lo spionaggio) è stato ricevuto dal presidente de facto del regime di Niamey, Abdourahmane Tchiani. In tale occasione il capo di Stato nigerino aveva elogiato l’operato dei nostri militari nel suo Paese.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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