ISRAELE

La campagna di disinformazione di Bibi e le pressioni stile mafia sulla Corte penale

Speciale per Africa ExPress  
Alessandra Fava
8 giugno 2024

Il governo Netanyahu è disposto a percorrere qualsiasi strada pur di durare in “eterno”. Per restare agguatato al potere fa la guerra. Che sia a Gaza, Cisgiordania, Libano, non importa. L’opinione pubblica è rimasta basita dall’inchiesta del giornale inglese The Guardian a proposito delle pressioni e delle minacce esercitate sulla Corte penale internazionale per evitare che Israele venga accusato di genocidio. La questione ha creato uno scandalo in Israele perché finora la fiducia negli apparati segreti è stata quasi totale. Tra l’altro sono proprio il Mossad (lo spionaggio israeliano) e lo Shin Bet (l’agenzia di intelligence per gli affari interni) ad essere coinvolte negli incontri internazionali delle trattative con Hamas di questi mesi.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Ossi Cohen, ex capo del Mossad

Il primo ministro israeliano ha messo infatti in campo l’attuale capo del Mossad, il servizio segreto che di solito interviene per operazioni speciali all’estero, Davide Barnea, per presiedere le trattative per la restituzione con gli ostaggi.

Il suo predecessore Yossi Cohen è stato invece delegato in passato, sempre dall’attuale primo ministro, a fare pressioni sul procuratore generale della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, per evitare che indagasse sulle violenze contro i palestinesi nel 2021. Il giornale Haaretz il 4 giugno ha pubblicato un articolo sull’affaire Barnea accusando Bibi e Yossi di aver agito con metodi talmente indegni che non sarebbero stati utilizzati neppure dalla mafia siciliana.

Titolo: “I trucchi sporchi di Bibi e Yossi poco consoni persino per la mafia”. Sotto la foto di una scena de “Il Padrino”. Secondo la ricostruzione del quotidiano britannico The Guardian, infatti Coen avrebbe avuto diversi incontri segreti con Bensouda in cui le avrebbe consigliato di lasciar perdere il caso per non mettere a rischio la sicurezza della propria famiglia. Il materiale raccolto dalla Bensouda era piuttosto scottante: infatti il successore di Bensouda, Karim Khan, ha chiesto l’arresto del premier israeliano Netanyahu proprio sulla base delle accuse del 2021.

Ma oltre alle minacce in stile mafioso, il governo israeliano si è anche avvalso dal 7 ottobre di una pesante e costosa campagna di disinformazione, come ha scovato un sito israeliano specializzato in finte notizie, finti profili e campagne di disinformazione https://fakereporter.net/pdf/pro-Israeli_influence_network-new_findings-0624.pdf?v=3. La questione è stata ripresa anche dal New York Times in quanto il ministero israeliano degli Affari della diaspora avrebbe stanziato 2 milioni di dollari a una società di comunicazione politica di Tel Aviv che si chiama Stoic per fare della propaganda filo-Israele e filo Bibi, sui social e in rete, campagna partita proprio nell’ottobre scorso. L’operazione è stata piuttosto sofisticata, ha coinvolto milioni di persone sia in Israele che negli Usa e nella diaspora in generale, modificando il sentire e le notizie sulla guerra.

Sono stati creati falsi account per divulgare fake. Sono nati finti siti internet con news inventate, i cui contenuti sono stati diffusi sopratutto da X, raccogliendo decine di migliaia di followers. Le operazioni digitali secondo il giornale sono riuscite anche a influenzare i politici del Congresso e del Senato nel momento del voto a favore delle armi e degli aiuti militari da mandare in Israele.

Lo scempio dei neonati nei kibbutz con i bambini bruciati nel forno di casa, l’amplificare le violenze sessuali (in numero molto ridotto sicuramente avvenute), rendere mostruoso l’attacco militare del 7 ottobre da parte dei guerriglieri di Hamas sono stati i prodromi della battaglia digitale, continuata sotto gli occhi di tutti gli attenti osservatori nei mesi successivi. Tutta l’operazione è stata coordinata dal ministro degli affari della Dispora, Amichai Chikli.

Sulla disinformazione sia Haaretz sia attivisti in rete avevano già indagato all’inizio dell’anno con articoli come questo https://marcowenjones.substack.com/p/scoop-massive-sock-puppet-network scovando prese di posizioni contro l’UNRWA per gettare discredito sull’organizzazione, oppure articoli e frasi contro i palestinesi o operazioni di criminalizzazione dei palestinesi in generale. https://dfrlab.org/2024/02/14/suspicious-accounts-on-x-amplify-allegations-against-unrwa/

Alcuni post hanno tentato anche di distruggere il supporto dei neri e degli afroamericani per i palestinesi uccisi a Gaza. Altri hanno cercato di influenzare i paesi arabi limitrofi e le loro popolazioni invitandoli a non immischiarsi nelle questioni palestinesi. Insomma gli interventi sono stati ad ampio raggio, su diverse tematiche e hanno impattato sopratutto sui cittadini Usa e europei presenti in rete.

Tra i sostenitori del governo israeliano e del suo eccidio, negli Usa figurano sicuramente gli evangelisti. In un museo privato legato proprio a questo gruppo religioso, arriva ora un’opera importantissima e poco studiata. E’ stato infatti trasportato negli Usa il mosaico di Megiddo, ritrovato in un carcere di massima sicurezza costruito su un edificio militare del mandato britannico nella Valle di Jesreeel in Israele.

Il mosaico del 230 dopo Cristo è una rarissima testimonianza della prima era cristiana e sembra contenga delle scritte sulla divinità di Cristo e riporta i nomi di cinque donne. L’opera di 54 metri quadrati che non è mai stata esposta al pubblico è stata smontata e trasportata a Washington nel Museo della Bibbia, dove potrebbe essere utilizzato a fini propagandistici.

I cristiani evangelici hanno sostenuto il governo Netantyahu e le sue politiche genocidarie perché pensano che sia vicina la fine del mondo e il ritorno del Cristo e che le guerre in Terra Santa e la riconquista da parte di Israele accelerino l’evento finale.

Il mosaico di epoca cristiana ritrovato in Israele misura 54 metri quadrati

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
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Alessandra Fava

Giornalista dal 1989, per lo più freelance. Ha scritto per Diario della settimana, Manifesto, Io donna, Marie Claire. Ha lavorato all'Ansa per 16 anni seguendo anche i processi del G8 2001 genovese. Esperta di Medio Oriente.

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