Cornelia I. Toelgyes
7 giugno 2024
“Nel nome dell’ordine morale e cristiano” è stata lanciata una nuova campagna contro le coppie di fatto in due province del Burundi (Ngozi e Kayanza). Una iniziativa volta a costringere le persone a sposarsi. In poche parole, i burundesi devono stare lontano dal peccato. Eppure la Costituzione dell’ex protettorato parla chiaro: il Burundi è uno Stato laico e garantisce la libertà di religione e di coscienza.
Il 29 marzo scorso il governatore della provincia di Ngozi, Désiré Minani, ha annunciato: “Le donne conviventi, non legalmente sposate, non potranno più restare nella casa che condividono con il partner”. Detto fatto, pochi giorni fa Minani ha rivelato con enorme soddisfazione che sono state cacciate ben 900 concubine dall’inizio della campagna fino alla fine di aprile.
Finora le autorità non hanno potuto allontanare tutte le donne non sposate legalmente, censite a finora. E, come riporta RFI, durante una conferenza stampa, il governatore ha spiegato che non è stato possibile cacciarle al 100 per cento. La quota raggiunta si aggira sull’85 per cento. Minani ha poi aggiunto: “Da queste unioni illegali sono nati ben 3.600 bambini”.
E sono proprio i piccoli ad aver messo in difficoltà le autorità locali. Il governatore ha sottolineato che l’amministrazione della provincia sta cercando di trovare i finanziamenti necessari per iscrivere questi bambini a scuola.
Gran parte delle conviventi che l’amministrazione provinciale non è riuscita a cacciare dall’abitazione comune sono donne di una certa età, conviventi con il loro partner da oltre 25 anni, mentre tutte le altre sono musulmane con un compagno della stessa religione.
La maggior parte dei burundesi abbraccia il cristianesimo (poco più dell’86 per cento il cattolicesimo, il 2,6 per cento il protestantesimo), solo l’1 per cento sono musulmani, mentre altri sono devoti a religioni tradizionali e una piccola minoranza all’induismo e altre confessioni.
Dopo aver cacciato la convivente, le autorità impongono all’uomo di ritornare con la moglie legittima, mentre la donna, in linea di massima, dovrebbe andare nella casa paterna. Ma la questione non è semplice, per stessa ammissione del governatore. “Purtroppo capita che i genitori sono entrambi deceduti e gli altri familiari non sono disposti ad accoglierle” e ha aggiunto: “Tutti progetti hanno lati positivi e negativi, è sempre stato così e Minani prosegue: “Tutte le conviventi che scopriremo d’ora in poi saranno considerate criminali”.
“Sono disperata – si è sfogata Anne (nome di fantasia) coi reporter di Reporter di RFI -. Con il mio compagno abbiamo avuto 7 figli, uno è morto. Due mesi fa sono venuti a casa, ci hanno arrestato, costringendoci a separarci. I figli sono rimasti con me, sono riuscita a rimandare a scuola alcuni, ma non tutti”.
Il racconto di Anne è una storia nella storia, ma ce ne sono altre ancora più drammatiche. Molte di queste donne vivono ora per strada con i loro figli, defraudati del diritto all’istruzione. Sono per lo più i vicini di casa a denunciare le coppie di fatto alle autorità.
Nella provincia di Kayanza la situazione è simile. Ben 136 donne sono state costrette a lasciare la casa che condividevano con il loro compagno.
Angeline Ndayishimiye, moglie del presidente Evariste Ndayishimiye, al potere dal 2020, un ex militare e molto credente, ha elogiato le misure adottate dal governatore di Ngozi. “Mi congratulo e incoraggio Désiré Minani, perché sta riportando onore alle famiglie”.
Già nel 2017 l’allora presidente Pïerre Nkurunziza, aveva dato ordine alle coppie conviventi more uxorio di sposarsi entro la fine dell’anno. Ancora più severo si era espresso nei confronti degli uomini ancora sposati e non divorziati dalla precedente moglie. Anche Nkurunziza aveva chiesto di porre fine immediatamente alla convivenza con altra persona. La “moralizzazione” della società burundese prosegue anche con questa presidenza.
L’87 per cento dei circa 13 milioni di burundesi vive sotto la soglia di povertà, la mortalità infantile è ancora alta e l’aspettativa di vita è poco al di sopra dei 61 anni.
Cornelia I. Toelgyes
cornelicit@hotmail.it
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