Speciale per Africa ExPress
Flavio Vanetti
5 giugno 2024
Dopo aver sperimentato, nel periodo natalizio e in generale in inverno, temperature insolitamente alte (36-37 gradi centigradi stranamente molto umidi – ma addirittura più di 40 percepiti – contro i 30-32 della norma), il Kenya sta affrontando il problema delle piogge in eccesso. Addirittura vere e proprie alluvioni, che hanno creato danni enormi e che stanno mettendo a rischio il turismo, fonte insostituibile di proventi.
Adriano Ghirardello è un italiano, della provincia di Varese, che da oltre 30 anni fa avanti e indietro da Malindi, dove ha casa e dove trascorre dai 6 agli 8 mesi, alternati con il rientro a Fagnano Olona. Sta per ritornare in Africa e si aspetta che lo scenario sia tutt’altro che migliorato.
“Le forti precipitazioni – spiega – non sono una novità: ci sono ogni anno. Cominciano tra marzo e aprile e durano di solito fino al termine di giugno. Ma quest’anno sembra che le piogge abbiano preso un piglio devastante. Due anni fa ci fu una grande siccità: non piovve per nulla. Adesso sta accadendo il contrario. Ai tempi soffrirono gli animali, oggi invece tocca agli uomini. Le bestie vedono invece spuntare erba fresca e per gli erbivori è una manna: ma automaticamente entrano in gioco pure i carnivori, che li mettono nel mirino e completano il ciclo della catena alimentare. L’acqua in abbondanza, poi, risolve la questione della sete”.
Di contro è un guaio per gli umani. E per il turismo. In un parco come quello di Masai Mara non riusciranno a muoversi finché non ricostruiranno i ponti distrutti dalla violenza dell’acqua. Di nuovo Ghirardello, che nei suoi mesi in Kenya è coinvolto nel servizio di pattugliamento dei parchi: “Di recente ho parlato con un fotografo di Nairobi: è disperato perché gli stanno saltando i safari prenotati. Se non ricostruite, certe strutture devono essere almeno vagamente agibili: sennò salta la programmazione ed è un guaio grosso perché i danni sono già nell’ordine dei milioni di euro”.
La ricostruzione può avere luogo solo tramite le realtà locali, il governo centrale non può fare nulla. “Nella zona del Masai Mara, per dire, è la contea di Narok che deve occuparsi della riattivazione di ponti, piste e strade. Questo parco, uno dei più famosi, conta un centinaio di campi dedicati ai turisti. Da luglio entrerà poi in vigore la nuova tariffa d’ingresso: 200 dollari ogni 12 ore. Bisogna insomma spicciarsi, sennò il danno sarà enorme: solo in questo periodo si calcolano almeno mille visitatori da tutto il mondo. Ed è un momento favorevole per vedere gli animali perché è in arrivo la transumanza dalla Tanzania verso il Kenya”.
Uno penserà adesso al famoso e tanto sbandierato cambiamento climatico, ma in realtà quanto sta succedendo è figlio di qualcosa che è ben nota da anni: si tratta di “El Niño”, che prende le mosse dal riscaldamento delle acque del Oceano Pacifico. Peraltro, le manifestazioni estreme che dobbiamo sempre più spesso affrontare hanno probabilmente accentuato la forza di questo fenomeno. “A febbraio il servizio di previsione aveva avvisato dei rischi, invitando a organizzarsi in previsioni di piogge pesanti. I tornado, se non altro, non arrivano in Kenya perché l’equatore protegge. El Niño tocca il Mozambico e sfiora la Tanzania, ma non va oltre”.
E come se non bastasse quando scende dal cielo, l’acqua determina un’altra emergenza. Sulla terra stavolta. “Tutte le masse che si accumulano nel Masai Mara, a Nairobi e nel Nord del Paese – conclude Adriano Ghirardello – scendono nei due fiumi principali, il Tana River e l’ Athi Galana-Sabaki. Confluiscono nell’Oceano Indiano, il primo a Lamu, il secondo dalle parti di Malindi. Sono già stati sommersi dei campi e ho saputo che vicino a Malindi l’acqua ha divelto un baobad di 800 anni, simbolo di un’eroina che aveva combattuto contro gli inglesi. Si trovava a 50 metri dalla riva: spazzato via come un fuscello”.
Flavio Vanetti
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