Cornelia I. Toelgyes
25 maggio 2024
Mentre il mondo è concentrato su quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza e in Ucraina, in Darfur aumenta giornalmente il rischio genocidio. Anzi, la kenyana Alice Wairimu Nderitu, consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per la prevenzione di genocidio, ha lanciato venerdì un allarme in tal senso ai microfoni della BBC: “Ciò che sta accadendo in Darfur ci fanno pensare che laggiù potrebbe verificarsi un genocidio, ma forse è già avvenuto”.
La signora Alice Wairimu Nderitu ha anche informato il Consiglio di sicurezza del Palazzo di Vetro dei massacri, causati dal conflitto armato che si sta consumando da oltre 13 mesi in Sudan: la guerra senza quartiere tra le Rapid Support Forces (RSF), capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti” e le Forze armate sudanesi (SAF) del de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan.
A El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, nelle ultime due settimane sono stati brutalmente ammazzate centinaia di civili. “La situazione si sta evolvendo verso un genocidio. Le crescenti ostilità in questa zona hanno aperto un capitolo davvero allarmante. Sto chiedendo di prestare la massima attenzione a questo conflitto. Ho cercato di far sentire la mia voce, ma viene soffocata dalle altre guerre in Ucraina e a Gaza”, ha spiegato la signora Nderitu.
E infine la consigliera di Guterres ha avvertito: “La maggior parte della popolazione di El Fasher appartiene a tribù africane. Se il conflitto continuerà, aumenterà il rischio di aggressioni e uccisioni a sfondo razziale”.
Residenti locali hanno riferito che mercoledì scorso le RSF hanno attaccato e saccheggiato il campo per sfollati Abu Shouk, uccidendo un numero imprecisato di persone e ferendone almeno 13; venerdì i combattimenti sono proseguiti in altre zone di El Fasher.
Secondo il Comitato di coordinamento per i rifugiati e gli sfollati, che supervisiona i campi della regione, circa il 60 per cento degli oltre 100.000 abitanti di Abou Shouk è fuggito giovedì. Nell’insediamento vivono i sopravvissuti alle violenze di due decenni fa in Darfur, dove i janjaweed sono cresciuti e si sono sviluppati prima di essere integrati nella RSF per ripulirne l’immagine. Con il nuovo conflitto in atto, circa mezzo milione di persone si sono trasferite nell’area di El Fasher. Ma oggi la città e i dintorni sono un campo di battaglia cruciale in questa guerra che per ora non mostra segni di arresto.
L’anno scorso, le RSF e i suoi alleati hanno attaccato altre zone del Darfur, come el-Geneina, nella parte occidentale della regione, ammazzando migliaia di persone e costringendone più di mezzo milione, per lo più della tribù Massalit, a fuggire nel vicino Ciad. I Massalit sono una popolazione musulmana, ma non araba, che vive a cavallo tra Sudan e Ciad. Si pensi solo che la loro lingua è scritta in caratteri latini e non arabi.
Già allora i paramilitari erano stati accusati di abusi e di una campagna di uccisioni a sfondo etnico contro gruppi non arabi. Ovviamente i paramilitari hanno sempre respinto ogni addebito.
Le forze armate sudanesi, dopo una serie di sconfitte subite proprio in Darfur, hanno rafforzato le loro difese intorno a El Fasher, stringendo anche accordi con gruppi armati, precedentemente neutrali. A novembre la coalizione di questi movimenti ha dichiarato El Fasher come “linea rossa”, cioè zona interdetta, fatto che è stato rispettato per qualche mese anche dalle RSF.
La fragile tregua nel Darfur settentrionale è crollata verso marzo-aprile, quando gruppi ribelli, come la fazione di Minnie Minawi del Movimento di Liberazione del Sudan (SLM/A-MM) e quella il guidata da Gibril Ibrahim, il Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (JEM), hanno schierato le loro truppe contro le RSF.
A metà aprile i miliziani capeggiati da Hemetti hanno poi mobilitato migliaia di truppe verso il capoluogo El Fasher. Da allora sono in corso violenti scontri in alcune parti della città, in particolare nelle zone settentrionali e orientali e nella periferia.
Le RSF hanno attaccato e bruciato anche villaggi appartenenti agli Zaghawa, gruppo etnico non arabo, al quale appartengono sia Minni Minawi sia Gibril Ibrahim.
In questi giorni anche l’ambasciatore statunitense accreditato all’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha condannato fermamente le RSF per l’assedio di El Fasher e ha chiesto ai finanziatori esterni di non sostenere le parti in conflitto.
La signora Thomas-Greenfield ha poi evidenziato che Washington ha già iniziato a imporre sanzioni a leader del gruppo, responsabili di queste operazioni militari.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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