Federica Iezzi
23 Maggio 2024
(2 – fine)
Nella storia della giustizia internazionale, quale punto di svolta rappresenta l’annuncio della richiesta di mandati di arresto per Israele e Hamas, da parte del procuratore capo della Corte Penale Internazionale?
La Corte penale dell’Aja ha sofferto fin dalla sua nascita di critiche molto forti legate al concetto dei “doppi standard”, in quanto le sue azioni legali sono state interpretate come una giustizia al servizio delle potenze occidentali.
Dobbiamo tornare all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, quando l’Occidente denunciò la violazione del Diritto Internazionale Umanitario, voce cui si contrappose il sud del mondo evocando una legge a “geometria variabile”.
La comunità internazionale ora è stata forzatamente messa davanti al muro della verità. Sarà interessante vedere come reagiranno gli Stati parte del Trattato di Roma – che nel 1998 ha istituito la Corte Penale Internazionale – di fronte all’eventuale obbligo di arrestare gli accusati, spesso politicamente protetti.
Hemingway scriveva che il fallimento avviene “gradualmente, poi all’improvviso”. Il tempo dell’estradizione inizia a ticchettare sul serio non quando Netanyahu verrà incriminato, ma quando verrà rimosso dal potere. Non riuscirà a evitarlo a lungo. Una volta uscito, Washington sarà fondamentale.
Facile il parallelismo con Slobodan Milošević, ex presidente serbo. Estromesso dal potere nove mesi prima della sua estradizione. La Casa Bianca, cui erano subordinati gli aiuti economici, fece pressioni sul nuovo governo di Belgrado affinché lo consegnasse all’Aja.
Ci sono ancora dubbi sulla strategia della Procura, che ha impiegato solo un anno per emettere accuse scenografiche in Ucraina e sette mesi in Palestina, mentre in altre situazioni – Nigeria, Sudan, Venezuela, Georgia – ha mostrato un’estenuante lentezza e indecisione.
Il significato pratico della richiesta di un mandato di arresto può essere limitato. Al contrario rimangono sostanziali: il valore espressivo dell’affermazione dei diritti e della dignità delle vittime dei crimini, commessi da entrambe le parti, e l’accelerazione di un processo politico che metta fine al conflitto.
Netanyahu ha risposto alla Corte usando un linguaggio in codice nella versione ebraica, chiaro riferimento storico alla sfida del potere da parte del movimento sionista.
La cascata di aspre critiche, cui evidentemente si sono accodati gli Stati Uniti, non si è fatta attendere molto. La caratteristica sorprendente è che non c’è stata alcuna difesa della politica israeliana nel merito. Le obiezioni riguardano una presunta equivalenza tracciata tra i leader israeliani e i leader di Hamas, obiezioni basate sulla giurisdizione della Corte, ma niente che scagioni i leader israeliani dalle violazioni strutturali nella legge e nella politica.
Una popolazione prevalentemente civile mantiene il suo status civile nonostante la presenza di combattenti (Protocollo Aggiuntivo I alle Convenzioni di Ginevra, 1977), già fermamente definito nel 2016, dal procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, nel processo contro Radovan Karadžić – ex presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. La Striscia di Gaza è in gran parte occupata da civili, quindi qualsiasi operazione diretta contro il territorio nel suo complesso è un’operazione diretta contro i civili.
Le richieste della Corte Penale Internazionale ignorano completamente qualsiasi questione non collegata all’attuale situazione nella Striscia di Gaza. Niente sull’apartheid, come crimine contro l’umanità, niente sugli insediamenti israeliani illegali in Palestina, come crimine di guerra, niente sui precedenti e sistematici attacchi di Israele contro la Striscia di Gaza.
E’ anche preoccupante la mancanza di mandati di arresto per il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano o per un qualsiasi altro alto comandante, in quanto si esclude implicitamente il dolus specialis, senza cui non si concretizza il crimine di genocidio.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
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(2 – fine)
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