Federica Iezzi
14 maggio 2024
E’ incredibilmente sprezzante come la gerarchia tra vittime del terrorismo e vittime della guerra contribuisca a disumanizzare i palestinesi. Israele continua nell’imbarazzante tentativo di normalizzare quello che sembra sempre più essere un massacro deliberato di civili, sulla Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Non è un modo nuovo di condurre una guerra. Netanyahu sta percorrendo scrupolosamente gli stessi passi del presidente russo, Vladimir Putin, e di quello siriano, Bashar al-Assad, prendendo di mira civili e infrastrutture di sostentamento. E pure del dittatore iracheno Saddam Hussein, che deliberatamente gasò la popolazione curda.
Ma torniamo al 2013 a Yarmouk, campo profughi palestinese alla periferia di Damasco, in Siria. Cosa è successo? Il campo assediato dalle forze del regime siriano e dai suoi alleati, causò la morte di migliaia di palestinesi. Per fame. Per guerra.
La fame e il cibo hanno i loro tempi, che non corrispondono necessariamente al tempo politico o al tempo economico. Le persone non smettono di morire di fame il giorno in cui vengono firmati gli accordi di pace, né quando finisce un assedio.
Il ruolo svolto da Hafiz al-Assad, padre di Bashar al-Assad, nel massacro del campo profughi palestinese di Tell al-Zaatar – nella zona nordorientale di Beirut, in Libano – commesso dalle milizie fasciste cristiano-maronite nel 1976, ha mostrato molto presto la vera natura del regime siriano, per il quale la “questione palestinese” non è altro che un oggetto di propaganda.
Ed ecco come si svolge il piano di Netanyahu. Il livello di distruzione delle infrastrutture civili a Gaza è direttamente proporzionale all’abbandono nel ricostruire pochi miseri metri quadrati di terreno solido. Nel territorio devastato ricompaiono dunque i campi di tela, che negli anni erano scomparsi.
La maggioranza dei palestinesi oggi costituisce una popolazione senza terra né patria. Il regime israeliano spinge per porre fine allo status di rifugiato “ereditario” dei palestinesi. Con quale conseguenza? I bambini palestinesi apolidi non potranno più godere di questo status e finiranno per essere assimilati nei loro Paesi di esilio. Invece, per i palestinesi lo status di rifugiato è la prova tangibile di un’ingiustizia storica.
Alla luce della miopia della guerra, si continua a cercare una soluzione nel futuro e non nel presente. L’argomento fu particolarmente vivace per gli intellettuali ebrei, che discussero del futuro già nei primi mesi dall’inizio della seconda guerra mondiale. Sfuggiva, però, un dettaglio determinante: se “il giorno dopo” le minoranze etniche sarebbero continuate ad esistere.
Così come la questione della fame decise il futuro dell’Europa nel dopoguerra, parlare di fame a Gaza, oggi, ci impone di riconoscere il fatto che Israele gestisce la carestia nei territori palestinesi da quasi due decenni.
Per comprendere la fame come forza politica internazionale è stato necessario rendere la ricerca sulla fame una scienza che non sia uno strumento al servizio della diplomazia ma un’alternativa ad essa. Qualcosa che oltrepassa i confini e modella la mappa del mondo più velocemente degli accordi diplomatici.
Dunque, la preoccupazione per il “giorno dopo” dovrebbe essere arginata e dovrebbe partire una realistica discussione con la consapevolezza che il momento attuale a Gaza è un momento di fame. È un periodo dalle caratteristiche uniche che rimodella la politica dello spazio.
Dall’inizio dell’assedio sulla Striscia di Gaza nel 2007, il cibo è diventato uno strumento centrale con cui lo Stato israeliano penetra nella vita dei palestinesi. Le centinaia di camion che portano generi di prima necessità in un’area chiusa, il controllo sulla possibilità di obbligare a mangiare un alimento piuttosto che un altro, fanno parte del metodo con cui Israele gestisce la popolazione palestinese a Gaza.
I camion colmi di cibo, che arrivano trionfanti a Gaza, sono solo l’immagine speculare di tutti gli alimenti che non provengono dalla terra palestinese. Gaza non ha quasi alcuna possibilità di sovranità nutrizionale e questo è uno dei meccanismi per il quale non ha quasi alcuna possibilità di sovranità politica.
Il risultato agli occhi della Comunità Internazionale è che Gaza è nutrita. Questo fenomeno ha una lunga storia globale. La nutrizione crea lealtà. Secondo questo paradigma, le popolazioni affamate saranno fedeli a coloro che le nutrono e non ad una entità ideologica nazionale. Il cibo è garanzia di obbedienza, e meno “docile” è una popolazione, maggiore è la necessità di gestire il cibo.
Nella storia moderna del cibo, la nutrizione è una parte essenziale del controllo coloniale. Negare i beni di prima necessità a una popolazione civile, al fine di esercitare pressione su elementi militari o politici, è evidentemente contrario al Diritto Internazionale Umanitario.
Ma Israele ha calcolato scientificamente le calorie minime, necessarie per raggiungere la soglia umanitaria, e le ha tradotte in numero di camion di generi alimentari che entrano a Gaza ogni giorno. L’obiettivo è mantenere Gaza affamata ma non affamarla. Ecco che la politica viscida di Netanyahu parla il linguaggio del diritto internazionale, legittimando il feroce assedio.
Peccato che le calorie sono la più grande frode nell’alimentazione moderna. Il valore energetico di un cibo non ha alcun significato dal punto di vista nutrizionale. A Yarmouk, durante l’occupazione siriana, le donne che non riuscivano ad allattare, utilizzavano latte mescolato allo zucchero. Caloricamente una bomba. Nutrizionalmente inadeguato. I neonati che morivano di fame non venivano, quindi, considerati affamati perché raggiungevano il limite calorico minimo stabilito dalla legge.
E allora, quando la fame è troppo fame? Una persona che può camminare ma non può correre? Una donna che può concepire ma non può allattare? Cento sacchi di riso, mille? Il conteggio delle calorie a Gaza fa parte del concetto che esiste un modo scientifico, giustificato e sostenibile per morire di fame, espropriare e occupare. Ma anche questo, non è altro che un concetto fallito.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo. Specifica se vuoi essere iscritto alla Mailing List di Africa Express per ricevere gratuitamente via whatsapp le news del nostro quotidiano online.
Dalla Nostra Corrispondente di Moda Luisa Espanet Novembre 2024 In genere succede il contrario, sono…
Dal Nostro Corrispondente di Cose Militari Antonio Mazzeo 20 novembre 2024 Nuovo affare miliardario della…
Speciale per Africa ExPress Costantino Muscau 19 novembre 2024 "Un diplomatico francese sta rubando i…
Speciale Per Africa ExPress Eugenia Montse* 18 novembre 2024 Cosa sapeva degli attacchi del 7…
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 18 novembre 2024 Un tribunale di Pretoria ha…
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 17 novembre 2024 Continua in Mozambico il braccio di…