Il Sudafrica ammonisce Israele: “Contro la repressione la violenza è lecita”

I partecipanti al convegno di Johannesburg hanno denunciato come l'apartheid venga applicato alla popolazione palestinese

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Dalla Nostra Corrispondente
Elena Gazzano
Città del Capo 13 maggio 2024

Sulle strade polverose di Gaza e tra i campi profughi della Cisgiordania, la resistenza palestinese contro l’oppressione israeliana sta bruciando viva. Nell’epicentro di questa lotta epocale, tra il 10 e il 12 Maggio, lo spirito ribelle di Johannesburg ha unito in un convegno senza precedenti, un’assemblea di anime unite da un unico grido: libertà per la Palestina, ora e per sempre.

Testimoni oculari, leader visionari, attivisti indomabili presenti all’incontro, hanno tessuto un mosaico di sofferenza e resilienza, lanciando un appello globale all’azione e alla solidarietà. È stato un fine settimana di fuoco e passione, un ruggito di protesta che ha risvegliato le coscienze sopite di un mondo troppo spesso indifferente.

La conferenza non è stata solo un’arena di discussioni e di parole. È stata una pietra miliare nella saga del popolo palestinese, un grido di sfida lanciato contro le catene dell’oppressione marchiate Occidente. “Non accetteremo compromessi sulla nostra libertà – hanno tuonato i partecipanti, le loro voci cariche di fermezza e determinazione – Se l’Occidente vuole giocare a suon di legge internazionale allora è ciò che faremo”.

Emergono le testimonianze di coloro che vivono l’inferno quotidiano dell’occupazione. Mohammed Alkaisi, con la sua voce intrisa di rabbia e dolore, dipinge un quadro crudele di una realtà sospesa tra il caos e l’ingiustizia. “Israele non ha confini con la nostra terra – sussurra con voce carica di amarezza -. Mentre noi dobbiamo affrontare i checkpoint solo per andare fare la spesa”. È una narrazione di sopraffazione che si insinua nell’anima, un grido di protesta che spezza il silenzio.

E poi ci sono le storie dei raid notturni, delle incursioni brutali che sconvolgono la quiete dei campi profughi. L’esercito israeliano, con il suo arsenale di morte e distruzione, si abbatte senza pietà su una popolazione disarmata e indifesa. Ma dietro a questa violenza c’è una logica distorta: i campi profughi della Cisgiordania sono diventati un terreno di addestramento per i soldati che poi saranno spediti a Gaza, pronti a seminare morte e terrore.

E mentre le testimonianze si intrecciano, emerge la voce di Steven Friedman, un accademico e attivista dal cuore di ferro che ha lottato contro l’apartheid in Sud Africa. Con un tono di sfida e disincanto, Friedman denuncia le analogie tra le due forme di oppressione, smascherando il mito del sionismo come baluardo del popolo ebraico “L’affermazione che il sionismo è una forma estrema di identità ebraica, disposta a distruggere i palestinesi pur di affermarsi, è non solo sbagliata ma anche ridicola, infatti ai primi sionisti gli ebrei non stavano nemmeno tanto simpatici, e il loro scopo era quello di creare per loro uno Stato dove potessero essere offensivi e avari, senza disturbare le altre nazioni europee”.

Con un altra carica Friedman aggiunge: “Ogni volta che un sionista punta il dito contro coloro che sostengono una Palestina libera, urlando antisemita, mostra un’indole razzista. Perché i semiti sono tutti quei popoli che parlano una lingua del ceppo semitico”. È una dichiarazione audace, che scuote le fondamenta della nostra comprensione.

Ma la conferenza non è stata solo un momento di denuncia e di protesta. È stata anche un’ode alla solidarietà globale, un richiamo alla coscienza universale di fronte all’ingiustizia. In un grido di battaglia, Nareem Jeena ha esortato gli attivisti a non temere la violenza quando la non-violenza si rivela vana, citando l’esempio di Mandela e del suo MK.

“Mandela è stato condannato all’ergastolo perché aveva creato l’MK, l’ala armata del suo partito. Una cosa che dovrebbe fare aprire gli occhi a tutti noi attivisti: nel caso in cui non esiste un’alternativa all’uso di violenza, si può e si deve usare la violenza. Lo so: queste sono parole forti, ma quando siamo silenziati e picchiati dalla polizia durante pacifiche manifestazioni di protesta, non c’è più tempo per la mitezza. Dopo aver represso le proteste con la violenza, l’Occidente ha perso ogni diritto di impartire lezioni di morale e diritti umani ad altri Paesi”.

E infine, c’è la dichiarazione finale del convegno: un inno alla libertà, un grido di protesta che risuona nell’eco “Free Palestine from the river to the sea”  (Palestina libera dal fiume sl mare, ndr). Testimoniando il genocidio continuo e la repressione perpetuata da Israele, la dichiarazione denuncia il sostegno occidentale alla violenza e all’apartheid. Si sostiene il Movimento Globale Anti-Apartheid per la Palestina, esortando alla fine del genocidio, al ritiro delle forze israeliane e al completo smantellamento del progetto coloniale. L’obiettivo è isolare Israele attraverso il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, fino al raggiungimento della completa liberazione palestinese.

Ma in questi tre giorni non sono solo le voci di Johannesburg a far eco nella comunità internazionale; ce n’è stata anche un’altra che si è levata con fermezza. la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), la massima istanza giudiziaria delle Nazioni Unite, venerdì ha annunciato che il Sudafrica ha presentato una nuova richiesta per sollecitare il ritiro di Israele da Rafah, come parte di misure di emergenza aggiuntive in risposta alla guerra a Gaza. E domenica sera, Egitto e Libia hanno dichiarato il loro sostegno al caso del Sudafrica contro Israele, citando le crescenti violazioni israeliane .

Resta una domanda urgente: se il diritto internazionale viene violato, considerato senza rispetto e abusato senza che ciò comporti alcuna responsabilità e conseguenza per i rei, chi sarà la prossima vittima nell’elenco della coppia USA-Israele?

Elena Gazzano
elenagazzano6@gmail.com
https://www.instagram.com/elena.gazzano/
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