Cornelia I. Toelgyes
7 maggio 2024
Nei giorni scorsi il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (PAM), ha lanciato un nuovo allarme: “Il tempo sta per scadere. In Darfur siamo vicini alla carestia. L’intensificarsi degli scontri a El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, e gli infiniti problemi burocratici, imposti dalle autorità sudanesi a Port Sudan, ostacolano gli operatori umanitari che non riescono a portare gli aiuti alimentari nella regione”.
Michael Dunford, direttore regionale del PAM per l’Africa orientale, ha chiesto accesso illimitato per portare aiuti e assistenza alle famiglie in grave difficoltà che devono lottare giornalmente per la propria sopravvivenza a causa delle incessanti violenze. Dunford ha sollecitato le autorità sudanesi ad autorizzare l’utilizzo del valico di frontiera di Adre (tra Ciad e Sudan) e di poter attraversare le linee dei fronti da Port Sudan verso il centro del Paese.
Anche UNICEF ha spiegato che i civili di El Fasher e dell’intera regione del Darfur stanno già affrontando seri problemi alimentari. A causa dell’escalation delle violenze nell’area del capoluogo sono stati bloccati i convogli di aiuti provenienti dal valico di frontiera di Tine (tra Ciad e Sudan), un corridoio umanitario che è stato aperto a marzo e che passa attraverso il capoluogo del Darfur settentrionale.
Radio Dabanga (emittente che trasmette dall’Olanda) ha fatto sapere che il nord e il nord-est di El Fasher sono già sotto assedio da parte delle Rapid Support Forces, capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, che da un anno sono in guerra contro le forze armate sudanesi (SAF) del de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan. L’occupazione delle RSF ha peggiorato drasticamente la già grave situazione, dovuta anche a una nuova impennata dei prezzi, carenza di cibo e di forniture medico-sanitarie. E la settimana scorsa altri due centri medici hanno dovuto chiudere i battenti.
Già alla fine del mese di aprile l’ONU aveva lanciato l’allarme su un possibile attacco da parte delle RFS contro El-Fasher e sulle devastanti conseguenze per la popolazione.
Se i paramilitari dovessero prendere il pieno controllo di El Fasher, si accenderebbero anche le lotte tra le tribù arabe che sostengono la RSF e quella Zaghawa. Infatti, Minni Minawi, leader della fazione MM del Movimento di Liberazione Sudanese, e Gibril Ibrahim, leader del Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza, si sono schierati con l’esercito. Entrambi appartengono alla tribù non araba degli Zaghawa.
Guerra, violenze, malattie, fame non si arrestano in Sudan, dove da quasi 13 mesi si consuma un sanguinoso conflitto tra i due generali. Pochi giorni fa sono stati uccisi due autisti del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) e altri tre dipendenti sono rimasti feriti in un attacco di uomini armati nel Darfur meridionale.
Durante i 13 mesi di guerra sono state uccise oltre 16.000 persone, cifra certamente sottostimata per la difficoltà di raccogliere dati accurati e in tempo reale, mentre gli sfollati sono oltre 9 milioni. I profughi, coloro che hanno cercato protezione nei Paesi confinanti, sono circa 1.700.000. Secondo le Nazioni Unite, il Sudan è oggi il Paese con il numero di sfollati più elevato al mondo e ben oltre la metà dei 45 milioni di abitanti del Paese soffre di grave insicurezza alimentare.
Secondo gli osservatori, accanto alle parti in conflitto combattono anche numerosi gruppi mercenari di altri Paesi o come per esempio, le forze speciali ucraine che supportano l’esercito sudanese, o i contractor russi di Wagner accanto alle RSF.
Recentemente i paramilitari di Hemetti hanno accusato il TPLF (Fronte popolare di liberazione del Tigray) di lottare insieme alle forze armate sudanesi, guidate da al-Burhan. Il presidente a interim delle autorità di Makallé, Getachew Reda, ha rispedito al mittente tali insinuazioni.
Secondo le RSF esistono però “prove documentate” che forze del Tigray stanno combattendo a fianco dei soldati di SAF.
Durante il sanguinoso conflitto del 2020-2022 nel nord dell’Etiopia, migliaia di etiopi provenienti dal Tigray hanno cercato protezione nel vicino Sudan. E centinaia di ex caschi blu dell’ONU, originari della regione settentrionale etiopica in fiamme, hanno cercato asilo nell’ex protettorato anglo-egiziano, temendo di essere perseguitati qualora fossero tornati in patria.
Durante la guerra in Tigray, le autorità di Addis hanno ripetutamente affermato che l’esercito sudanese armava, ospitava e addestrava le forze del TDF (Tigray Defense Forces), fatto che Khartoum ha sempre negato.
Cornelia I.Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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