EDITORIALE
Federica Iezzi
30 aprile 2024
Dal Ruanda alla Palestina, da un genocidio all’altro, quali responsabilità hanno gli Stati occidentali?
In quanto ex potenze coloniali, Belgio e Francia, sono state coinvolte nella catena di rivalità interetniche in Ruanda. Contrariamente a tante smentite, come quella del rapporto d’informazione parlamentare francese Quilès-Jospin del 1998, è ormai accertato che, lungi dal proteggere i civili ruandesi, l’Opération Turquoise ha permesso di esfiltrare le forze genocidarie Hutu nella Repubblica Democratica del Congo.
Il rammarico del presidente francese, Emmanuel Macron, arriva proprio mentre continuano indisturbate le vendite di armi a Israele, che da mesi conduce una guerra di sterminio del popolo palestinese nella Striscia di Gaza.
Ma come mantenere la credibilità quando le principali democrazie liberali del mondo sono complici di crimini internazionali?
Quello che sta succedendo a Gaza è chiarificatore. Ciò che doveva essere nascosto è stato portato alla luce. Ciò che doveva essere oscurato è stato nettamente messo a fuoco. Si parla di una violazione della legge che corre velocemente, prima che la mente abbia il tempo di assorbire e soppesare la gravità e la portata del crimine.
Questa volta, l’errore dell’Occidente è difficile da mascherare, e il nemico è così irrisorio – poche migliaia di combattenti all’interno di una “prigione” assediata per anni – che l’asimmetria è ardua da ignorare.
Per eliminare domande e riflessioni, le élite occidentali hanno dovuto lavorare duramente su due aspetti. Hanno cercato di persuadere l’opinione pubblica che gli atti di cui sono complici non sono così gravi come sembrano. E poi che il male perpetrato dal nemico è così eccezionale, così inconcepibile da giustificare una catastrofica risposta.
Questo è esattamente il ruolo svolto dai media occidentali, in un’inquadratura perversa, che purtroppo non è nuova.
Come hanno affrontato i media il fatto che più di due milioni di palestinesi a Gaza stanno gradualmente morendo di fame a causa del blocco degli aiuti umanitari, azione che evidentemente non ha alcuno scopo militare evidente, se non quello di infliggere una vendetta selvaggia sui civili palestinesi?
Piuttosto che parlare di una politica dichiarata di Israele, ecco cosa racconta la stampa internazionale: i combattenti di Hamas sopravvivranno a bambini, malati e anziani in qualsiasi guerra di logoramento in stile medievale, che neghi a Gaza cibo, acqua e farmaci.
Se ad imporre la fame sulla Striscia di Gaza non è Israele, l’impotenza dell’Occidente è assolutamente sottostimata. Ma l’Occidente non è impotente. Sta consentendo un realistico crimine contro l’umanità, rifiutandosi di esercitare il proprio potere per condannare Israele.
Nel frattempo, la stampa liberale occidentale ha abilmente assistito Washington nelle sue varie deviazioni dai crimini di guerra imputati allo stato israeliano, non ultimo sul veto diplomatico che gli Stati Uniti esercitano regolarmente per tutelare Israele, riciclando le accuse verso i palestinesi.
Colte di sorpresa dall’attacco di Hamas, lo scorso ottobre, le forze di difesa israeliane hanno lanciato furiosamente munizioni da carri armati e missili Hellfire, incenerendo indiscriminatamente combattenti di Hamas e prigionieri israeliani. La lunga fila di auto bruciate, distrutte e accatastate, come simbolo visivo del sadismo di Hamas, è infatti la prova, nel migliore dei casi, dell’incompetenza di Israele e, nel peggiore, della sua ferocia.
Da quella data, sono esplosi online discorsi disumanizzanti profondamente inquietanti, retorica genocida e incitamento alla violenza contro il popolo palestinese, da parte di funzionari e personaggi pubblici israeliani [https://law4palestine.org/wp-content/uploads/2024/02/Final-Jan.-26-Statements-DB.pdf].
Ma l’arma peggiore è stata la cospirazione del silenzio. Se c’è qualcosa che si è rivelato sistematico, sono le gravi carenze nella copertura, da parte dei media occidentali, di un plausibile genocidio in corso a Gaza. Le mani dei media sono state fondamentali per rendere possibile la collusione.
Per tutte le piattaforme web, i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani chiariscono che le aziende dovrebbero rispettare i diritti umani, identificare e mitigare i danni e porre rimedio agli abusi ovunque operino. Sia attraverso l’azione che per omissione, i social media hanno il record di alimentare conflitti, come nei casi del Myanmar e dell’Etiopia.
Nonostante le atrocità senza precedenti sulla Striscia di Gaza, nessuna delle piattaforme di social media – tra cui Facebook, Instagram, YouTube, X e TikTok, o app di messaggistica come WhatsApp e Telegram – ha condotto e comunicato pubblicamente i propri sforzi per mitigare i rischi derivanti da questo massacro. Invece, ognuna di queste piattaforme è carica di propaganda di guerra, discorsi disumanizzanti, dichiarazioni di genocidio, inviti espliciti alla violenza, discorsi di odio razzista e celebrazioni di crimini di guerra.
Meta, sul podio tra tutte le altre piattaforme nel censurare le voci palestinesi, è pienamente consapevole dell’eccessiva moderazione dei contenuti legati alla Palestina.
Ma il problema qui va oltre la semplice moderazione dei contenuti. Valutare l’illegalità di un contenuto e il modo in cui può facilitare o contribuire alla perpetrazione di crimini è solo una dimensione della comprensione del ruolo svolto dalle piattaforme nei conflitti armati, in cui le asimmetrie di potere sono pronunciate e dannose.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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