Alessandra Fava
17 aprile 2024
“Siamo complici della violazione di una legge del nostro Paese e peggio per me, in quanto medico, della violazione del mio giuramento ai pazienti, chiunque siano, come ho giurato quando mi sono laureato in medicina 20 anni fa”. Ha fatto rumore la lettera di un dottore impegnato nell’infermeria di una base militare che detiene palestinesi accusati di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre.
Già il 28 marzo il New York Times dedica un lungo articolo alla base militare di Sde Teiman a una ventina di chilometri da Gaza scrivendo che non si sa neppure quanti sono i prigionieri palestinesi e in quali condizioni sono detenuti.
Il 4 aprile il quotidiano Haaretz pubblica la notizia di una lettera scritta da questo medico interno al campo militare, indirizzata al ministero della Difesa e a quello della Sanità. Nella missiva il medico scrive che alla fine di marzo nell’infermeria della base militare sono state amputate le gambe a due detenuti a causa delle “ferite da manette”, che i prigionieri non vengono portati in bagno ma che sono tenuti legati e immobili per giorni, senza neppure poter andare nella toilette”.
La base, immediatamente ribattezzata l’”Abu Ghraib israeliana”, è stata creata subito dopo il massacro di Hamas il 7 ottobre proprio per interrogare presunti terroristi. Secondo l’Emendamento n. 4 alla Incarceration of Unlawful Combattants Law n. 5762 del 2002, passato il 18 dicembre 2023 alla Knesset, gli innocenti dovevano essere rimandati a Gaza e i colpevoli in carceri israeliane (come successo a 849 gazawi). Ma sopratutto i ai detenuti devono essere assicurate buone condizioni igieniche, letti per dormire e alimentazione. Previste anche due ore di ginnastica all’aperto al giorno.
Il Comitato pubblico contro le torture, stoptorture.org.il, con sede a Tel Aviv, già a febbraio 2023 aveva chiesto la fine dell’applicazione dell’emendamento (che sarebbe scaduto a marzo 2024). Secondo stoptorture dal 7 ottobre erano stati fermati almeno 2 mila palestinesi, tra gawawi e cittadini della Cisgiordania, ma le condizioni detentive e di difesa legale anche a Sde Teiman si erano drasticamente ridotte a causa dell’emendamento n. 4: prima di questa norma la detenzione poteva durare un massimo di 96 ore, dopo la sua promulgazione si può arrivare a 45 giorni.
Prima il processo doveva svolgersi entro 14 giorni, dopo il limite è stato portato a 75 giorni e anche in videocall. Prima il detenuto entro 10 giorni poteva incontrare l’avvocato o almeno entro 21 giorni per espressa richiesta di un magistrato, mentre ora si è passati da 75 giorni a 180 giorni.
Dalle informazioni di fonte militare, nella base restano legati mani e piedi tra i 600 e gli 800 gazawi sospettati di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre. Secondo il medico, i fermati nell’infermeria vengono tenuti con gli arti bloccati e continuamente bendati. In una sola settimana perdono parecchio peso. Anche l’alimentazione è scarsa: il medico riferisce che i prigionieri vengono nutriti con delle cannucce e con cibi sprovvisti delle calorie necessarie. Il sanitario denuncia anche la morte di detenuti a causa di operazioni addominali eseguite da medici non specializzati in chirurgia e con l’assistenza di infermieri appena diplomati.
L’IDF, Israel Defence Forces (Forze armate israeliane), hanno risposto che la lettera parla delle condizioni nell’infermeria, che i fermati comunque hanno quanto necessario e che se non possono andare in bagno vengono forniti di pannoloni.
Già all’inizio dell’anno, il medico aveva informato il ministero della Sanità delle pessime condizioni all’interno della base ma solo a febbraio c’è stata la visita in un comitato etico ministeriale. Dopo l’eco creata dalla lettera, il Ministero ha risposto che nella base ci sono le condizioni previste per legge e secondo le disposizioni internazionali e che ci sono ispezioni ministeriali costanti.
Secondo una fonte trovata da Haaretz molto è dovuto all’uso di manette in plastica, in seguito sostituite da quelle in metallo. Un detenuto a causa delle ferite da plastica ha subito l’amputazione di una mano.
Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
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