Kinshasa, aprile 2024
A margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dello scorso settembre, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, hanno annunciato che Tel Aviv aprirà un’ambasciata a Kinshasa, mentre l’ex colonia belga trasferirà il proprio corpo diplomatico a Gerusalemme. La legazione israeliana responsabile delle relazioni con il Congo-K si trova a Luanda (Angola).
In poche parole, i due Paesi hanno deciso di migliorare e rafforzare i rapporti reciproci, che comprendono anche investimenti in diversi settori, come la sicurezza, compresa quella informatica, agricoltura e infrastrutture.
Da quando è salito al potere, nel gennaio del 2019, Tshisekedi, ha sempre manifestato molto interesse per Israele, anzi è uno strenuo difensore della causa dello Stato ebraico. E sempre nel 2019 i due governi avevano siglato un accordo di cooperazione in materia di sicurezza, in base al quale Israele si offriva di addestrare ed equipaggiare l’esercito congolese per combattere Allied Democratic Forces (ADF), un gruppo armato di origine ugandese, che dal 1995 opera per lo più nella parte orientale del Congo-K. Il raggruppamento armato ha giurato fedeltà all’ISIS in Africa centrale (ISCAP). Nel 2021 gli Stati Uniti hanno inserito ADF nella lista dei gruppi terroristi.
La guerra di Israele contro Hamas ha avuto anche ripercussioni in Africa. Tantoché il governo di Tel Aviv ha rimpatriato gli istruttori presenti in Congo-K, tra loro anche Raz Cohen, uno dei testimoni dell’inchiesta del NYT sugli stupri di Hamas.
Va sottolineato che il presidente congolese era tra i leader africani che si sono affrettati a sostenere Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre.
Dan Gertler, multimiliardario israeliano attivo nel ramo minerario nel Congo-K dal lontano 1997, oltre ad essere in ottime relazioni con l’ex presidente Joseph Kabila ha anche stretti rapporti con il governo di Tel Aviv. Nel 2019, non appena salito al potere Tshisekedi, Yossi Cohen, ex direttore del Mossad, si era recato per ben tre volte a Kinshasa per intercedere a favore del tanto discusso uomo d’affari Gertler, a tutt’oggi sotto sanzione del Tesoro americano per corruzione ad alto livello nella RDC.
Ma le visite di Cohen in uno dei Paesi più corrotti del continente africano hanno sollevato molti interrogativi sull’entità del coinvolgimento del governo israeliano con Gertler nelle sue attività sospette nel settore del controllo dei minerali.
Nel corso degli anni, il nome di Gertler è stato collegato a ripetute accuse di corruzione. Nel maggio 2013, un rapporto pubblicato da Kofi Annan, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha rivelato le enormi perdite subite dalla ex colonia belga a causa dei rapporti con le società estere di Gertler, facendo luce per la prima volta sull’entità di questo ingente danno economico.
Poco più di un anno fa in un articolo del The New York Times viene rivelato che il capo di Stato congolese, Felix Tshisekedi, ha inviato lettera al presidente USA, Joe Biden, specificando che “La Repubblica Democratica del Congo non ha più alcuna rimostranza nei confronti di Gertler e del suo gruppo”. E Tshisekedi ha persino chiesto al suo omologo statunitense di far annullate dal Tesoro le sanzioni contro Gertler.
Gertler è determinato, vuole a tutti costi che i provvedimenti messi in atto dal Tesoro USA nei suoi confronti vengano abolite quanto prima. E’ persino riuscito a trovare un alleato importante in questa sua crociata: il presidente congolese. Il magnate israeliano, in un accordo siglato nel 2022 con il governo del Congo-K, ha concordato di rendere circa 2 miliardi di dollari di diritti di estrazione mineraria e di trivellazione petrolifera ottenuti negli ultimi due decenni. In cambio, il governo congolese ha accettato di pagare alle società di Gertler 260 milioni di dollari e di aiutarlo a fare pressioni su Washington per ottenere la revoca delle sanzioni. La mossa consentirebbe al Congo di rivendere i diritti minerari a nuovi investitori.
“I termini dell’accordo sono senza precedenti e dovrebbero essere accolti positivamente, anche dai miei detrattori”, ha scritto Gertler in una lettera a una ventina di gruppi per i diritti umani.
Ma gli attivisti di queste organizzazioni non condividono le affermazioni del magnate israeliano. Anzi, ritengono che l’accordo siglato con Kinshasa sia tutt’altro che un buon affare, visto che Gertler ha ancora diritto a decine di miliardi di dollari l’anno, si tratta di royalities derivanti dall’estrazione di rame e cobalto.
Poco più di un anno fa Human Rights Watch (HRW) ha scritto al segretario di Stato Antony Blinken e a Janet Yellen, segretario del Tesoro (lettera co-firmata da diverse organizzazioni congolesi e internazionali per i diritti umani), a proposito di un eventuale alleggerimento delle sanzioni riguardanti Dan Gertler.
Gertler ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento in corruzioni, infatti non è mai stato perseguito penalmente.
La società svizzera Glencore è stata condannata a pagare 180 milioni di dollari al governo di Kinshasa per presunti atti di corruzione dal 2008 al 2017, come riportato in un articolo di Africa ExPress del dicembre 2022. Durante tale periodo, Glencore ha lavorato con il miliardario minerario israeliano Dan Gertler.
Negli ultimi anni il multimiliardario ha intrapreso diverse azioni legali contro attivisti anticorruzione, informatori, giornalisti e gruppi della società civile. Anche due informatori, Gradi Koko Lobanga e Navy Malela, impiegati presso Afriland First Bank di Kinshasa, hanno dovuto affrontare cause legali dopo aver rivelato accuse di riciclaggio di denaro a beneficio di Gertler. In un processo giudiziario profondamente lacunoso nella RDC, entrambi sono stati condannati a morte in contumacia. Non è stata aperta però nessuna indagine per quanto riguarda il presunto riciclaggio di denaro denunciato dai due informatori.
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