Valentina Vergani Gavoni
29 marzo 2024
Formalmente non possiamo ancora definire “genocidio” la politica colonialista in Palestina. I delitti commessi da Israele in 76 anni però definiscono la sua identità di Stato sovrano. L’impunità – fondata su consenso – è garantita dall’appropriazione dei simboli identitari ebraici che riproducono un albero genealogico storico, politico e culturale. “Ci sono molte assonanze con il classico metodo mafioso – afferma Vincenzo Musacchio, criminologo forense associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (Stati Uniti) -. È palese la forza d’intimidazione del vincolo associativo tra i due blocchi. Altrettanto è la condizione di assoggettamento, connivenza e omertà che da esso deriva”, aggiunge.
“È peggio della mafia – attacca Rabbi Dovid Weiss, leader del gruppo ebraico ortodosso Neturei Karta –. È un’entità criminale. Palestinesi ed ebrei sono vittime dello stesso oppressore”. Parlare di mafia (intesa come organizzazione) è “limitativo” continua Weiss. “Se tornassimo alle origini di Israele, gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali hanno creato questo Stato per una minoranza presente in quella terra. Perché avrebbero dovuto farlo? I sionisti strumentalizzano la sofferenza degli ebrei per ottenerne il supporto”, racconta. Secondo Musacchio “sussistono argomentazioni sostenibili di genocidio nella misura in cui questo modello di guerra era inteso a distruggere deliberatamente una parte del popolo”.
Nel 1983 Roger Garaudy – scrittore e politico francese – credeva che il sionismo politico nato con Theodor Herzl e il suo libro Der Judenstaat (1896) è “sia una perversione che un tradimento del sionismo religioso e della vera missione spirituale del giudaismo”, che lo stesso Garaudy esaltava. I seguaci di Herzl hanno sfruttato ciò che lo scrittore chiama il “mito storico e il pretesto biblico per il sequestro della Palestina e l’espulsione dei suoi abitanti”. Quello che sta accadendo ora “è la conseguenza di questo – conclude il leader di Neturei Karta –. Hamas è una scusa per continuare. Il sionismo usa le emozioni, come il senso di colpa, per avere il consenso del mondo” sottolinea.
Prima della nascita dello Stato di Israele (1948), diverse organizzazioni sioniste hanno combattuto per realizzare il sogno del loro padre fondatore. L’Irgun è stato classificato dalle autorità della Gran Bretagna e dalla maggior parte delle stesse organizzazioni ebraiche come “un’entità terrorista”. E ha anticipato quello che oggi è il Likud, l’attuale partito israeliano di destra guidato da Benjamin Netanyahu. “È plausibile pensare che un’organizzazione criminale possa diventare uno Stato sovrano – spiega Vincenzo Musacchio -. Uno Stato che determina una guerra e commette crimini di matrice internazionale è senza dubbio definibile come ‘criminale’. Gli Stati in fondo cosa sono se non organizzazioni politiche con un governo, un territorio e una popolazione?”.
Roberto Della Rocca, esponente del partito di sinistra israeliano Meretz dice: “Una cosa è essere antisionista, un’altra è essere contro questo governo. Io sono contro questo governo di ultra destra, però sono sionista – e aggiunge – Il movimento sionista, quando è nato, era un movimento di sinistra per la liberazione del popolo ebraico e il suo ritorno a lavorare la terra”. L’Irgun era infatti una scissione dell’Haganah, considerata un’organizzazione paramilitare moderata. Era costituita per lo più da agricoltori ebrei che a turno sorvegliavano le loro fattorie e i loro Kibbutzim. “Il sionismo è il movimento di autodeterminazione del popolo ebraico”, racconta Della Rocca. L’unica soluzione contro l’antisemitismo era “creare uno Stato per gli ebrei” in quella terra. “Si chiamava Palestina e si è sempre chiamata Palestina – racconta l’esponente sionista del partito israeliano Meretz e continua – Per quanto riguarda i semiti, sono ebrei e arabi. Essere antisemita quindi significa essere contro gli ebrei, ma anche contro gli arabi. Negli anni poi è rimasto solo per gli ebrei. Chi è contro gli arabi viene definito anti-islamico (anche se non sono tutti musulmani)”.
Dopo oltre 30mila morti dal 7 ottobre 2023 gli alleati più fedeli di Netanyahu stanno perdendo il consenso nazionale e devono fare i conti con la politica interna: “Credo che nessuno possa fermare Israele se non gli Stati Uniti qualora veramente decidessero di farlo – spiega Musacchio e conclude – C’è una strettissima relazione tra le guerre e gli effetti politici ed economici. I principali problemi sono legati ai costi in termini di aiuti. Da una prospettiva politica credo che ci saranno notevoli cambiamenti e aumenterà soprattutto in Europa lo scollamento tra elettori ed eletti”.
Valentina Vergani Gavoni
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