Cornelia I. Toelgyes
23 marzo 2024
Nel 2015, l’ex dittatore del Gambia, Yahya Jammeh, aveva abolito le Mutilazoni Genitali Femminili (MGF). Purtroppo da quando la legge è entrata in vigore solamente due casi sono stati perseguitati penalmente.
Il 18 marzo scorso, la stragrande maggioranza dei parlamentari (54 su 58 deputati) del Gambia, una enclave anglofona all’interno del Senegal francofono, ha votato a favore di un progetto di legge che prevede il ripristino delle Mutilazioni Genitali Femminili. Un testo in tal senso è stato inviato a una commissione della Camera, che dovrà pronunciarsi sulla questione prima del voto finale, previsto fra tre mesi.
Il deputato Almameh Gibba, presentando il testo ai suoi colleghi, ha sottolineato: “Il disegno di legge mira a preservare i principi religiosi e a salvaguardare le norme e i valori culturali”.
Mentre veniva presentato il progetto di legge in Parlamento, nella capitale Banjul si è svolta una piccola manifestazione di militanti pro infibulazione.
Per gli attivisti e difensori dei diritti umani del Paese a maggioranza musulmana, rappresenta un pericoloso precedente per la salvaguardia dei diritti delle donne gambiane e hanno chieste una massiccia mobilitazione sia a Banjul che all’estero. Se la circoncisione femminile dovesse essere nuovamente autorizzata per legge, significherebbe tornare indietro di anni e danneggerebbe il duro lavoro svolto finora. Tale procedura viene spesso eseguita su bambine sotto i cinque anni con l’ovvia finalità di controllare la loro sessualità ma rischia di ledere fortemente la salute fisica e psichica delle piccole che vi vengono sottoposte.
Secondo un’antica tradizione che risale ai tempi dei faraoni, quella che viene chiamata anche “circoncisione femminile”, riguarda la rimozione, in toto o in parte, della parte esterna dei genitali delle donne. In alcuni casi comporta il taglio del clitoride e la cucitura delle grandi labbra.
Di solito vengono eseguite da una donna specializzata in MGF con una lama e senza anestetico. Sebbene sia internazionalmente riconosciuta come violazione dei diritti umani, si calcola che siano circa 68 milioni le ragazze in tutto il mondo che rischiano di subire questa atrocità entro il 2030.
A dispetto di quanto molti credono, non è una regola musulmana, tant’è vero che in Arabia Saudita, il Paese culla dell’islam, non viene per nulla praticata. E’ diffusa invece in Egitto e nella fascia dell’Africa sub sahariana, anche tra le comunità cristiane o animiste. Sono le madri che la impongono alle figlie e viene praticata tra l’infanzia e i 15 anni di età.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha precisato che le complicazioni immediate includono ritenzione di urina, ulcerazioni genitali, emorragie, tetano o setticemia, e, una donna sottoposta a MGF, può soffrire di problemi urinari e vaginali a lungo termine, tessuto cicatriziale e cheloidi. Inoltre, è a maggior rischio di complicazioni durante il parto.
Mentre per le Nazioni Unite tali pratiche riflettono una radicata disuguaglianza tra i sessi e costituiscono una forma di discriminazione nei confronti delle donne.
Cornelia I. Toelgyes
corenliacit@hotmail.it
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