Dossier Gaza/3a – “Tra incudine e martello”: la storia del racconto del New York Times sugli stupri di massa

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Pubblichiamo la traduzione dell’inchiesta della rivista online
The Intercept che smonta l’articolo del NEW YORK TIMES
del 28 febbraio scorso sugli stupri di Hamas a Gaza,
a firma di Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella.
L’articolo originale è qui:
https://theintercept.com/2024/02/28/new-york-times-anat-schwartz-october-7/?utm_medium=email&utm_source=The%20Intercept%20Newsletter

Da The Intercept
28 febbraio 2024

Anat Schwartz aveva un problema. La regista israeliana ed ex ufficiale dei servizi segreti dell’aeronautica era stata incaricata dal New York Times di collaborare con il nipote del suo partner, Adam Sella, e con il veterano, Jeffrey Gettleman, reporter del Times, a un’inchiesta sulla violenza sessuale perpetrata da Hamas il 7 ottobre, che avrebbe potuto ridisegnare il modo in cui il mondo intendeva la guerra in corso nella Striscia di Gaza.

Anat Schwartz, regista israeliana ed ex ufficiale servizi

A novembre, stava montando l’opposizione globale contro la campagna militare di Israele, che aveva già ucciso migliaia di bambini, donne e anziani. Sul suo feed di social media, che il Times ha dichiarato di stare rivedendo, la Schwartz ha messo un like sotto un tweet che incoraggiava Israele a “trasformare la Striscia in un mattatoio”. “Violare qualsiasi norma, sulla strada della vittoria – si leggeva nel post -. Quelli che abbiamo di fronte sono animali umani che non esitano a violare regole minime”.

Il New York Times, tuttavia, ha regole e norme severe. La Schwartz non aveva alcuna esperienza precedente in giornalismo. Il suo collega Gettleman le ha spiegato le basi, ha confessato la Schwartz in un’intervista podcast del 3 gennaio, prodotta dall’israeliano Channel 12 e condotta in ebraico.

Gettleman, ha sostenuto di essersi preoccupato di “ottenere almeno due fonti per ogni dettaglio inserito nell’articolo e di fare un controllo incrociato delle informazioni. Abbiamo prove forensi? Abbiamo prove visive? Oltre a dire al nostro lettore “questo è successo”, “cosa possiamo dire?” “Possiamo dire cosa è successo a chi?”.

La Schwartz ha raccontato che inizialmente era riluttante ad accettare l’incarico perché non voleva guardare le immagini di potenziali aggressioni e perché non aveva le competenze necessarie per condurre un’indagine del genere. “Le vittime di violenza sessuale sono donne che hanno vissuto un’esperienza [drammatica], e quindi venire a sedersi di fronte a una donna del genere…. Chi sono io, comunque? Non ho alcuna qualifica”.

Attacco Hamas 7 ottobre 2023

Ciononostante, ha iniziato a lavorare con Gettleman sulla storia, come ha spiegato nell’intervista in podcast. Gettleman, reporter vincitore del Premio Pulitzer, è un corrispondente internazionale e, quando viene inviato in un ufficio, lavora con assistenti e freelance per le storie. In questo caso, secondo diverse fonti della redazione che hanno familiarità con il processo, Schwartz e Sella hanno fatto la maggior parte del reportage sul campo, mentre Gettleman si è concentrato sull’inquadratura e sulla scrittura.

Il rapporto che ne è scaturito, pubblicato a fine dicembre, era intitolato “Urla senza parole”: How Hamas Weaponized Sexual Violence on Oct. 7″. Fu una notizia bomba e galvanizzò lo sforzo bellico israeliano in un momento in cui anche alcuni alleati di Israele esprimevano preoccupazione per l’uccisione su larga scala di civili a Gaza.

All’interno della redazione, l’articolo è stato accolto con elogi dai leader editoriali ma con scetticismo da altri giornalisti del Times. Il podcast di punta del giornale, “The Daily”, ha tentato di trasformare l’articolo in un episodio, ma non è riuscito a superare il controllo dei fatti, come ha riportato The Intercept. (In una dichiarazione ricevuta dopo la pubblicazione, un portavoce del Times ha commentato: “Nessun episodio del Daily è stato eliminato a causa di errori di fact checking”).

Il timore dei collaboratori del Times che hanno criticato la copertura di Gaza da parte del giornale è che la Schwartz diventi un capro espiatorio per quello che è un fallimento molto più profondo. Può nutrire animosità verso i palestinesi, non avere esperienza di giornalismo investigativo e sentire pressioni contrastanti tra l’essere una sostenitrice dello sforzo bellico di Israele e una giornalista del Times, ma la Schwartz non ha incaricato se stessa e Sella di raccontare una delle storie più importanti della guerra. Sono stati i vertici del New York Times a farlo.

Schwartz lo ha dichiarato in un’intervista alla Radio dell’Esercito israeliano il 31 dicembre. Il New York Times ha chiesto: “Facciamo un’inchiesta sulle violenze sessuali, e poi sono stati loro a dovermi convincere”, ha spiegato Schwartz. Il suo ospite l’ha interrotta: “È stata una proposta del New York Times, l’intera faccenda?” “Inequivocabilmente. Inequivocabilmente. Ovviamente. Ovviamente – ha spiegato -. Il giornale ci ha sostenuto al 200 per cento e ci ha dato il tempo, il denaro, le risorse per approfondire l’inchiesta quanto necessario”.

Poco dopo lo scoppio della guerra, alcuni redattori e reporter si sono lamentati perché le norme del Times impedivano loro di riferirsi ad Hamas come “terroristi”. La motivazione dell’ufficio standard, diretto per 14 anni da Philip Corbett, è stata a lungo che Hamas era l’amministratore de facto di un territorio specifico, piuttosto che un gruppo terroristico senza Stato. L’uccisione deliberata di civili, si sosteneva, non era sufficiente per etichettare un gruppo come terrorista, in quanto tale etichetta poteva essere applicata in modo piuttosto ampio.

Corbett, dopo il 7 ottobre, ha difeso la politica fino allora applicata dalle pressioni, secondo fonti della redazione, ma ha perso. Il 19 ottobre, a nome del direttore esecutivo Joe Kahn, è stata inviata una email in cui si diceva che Corbett aveva chiesto di ritirarsi dalla sua posizione. “Dopo 14 anni in cui ha incarnato gli standard del Times, Phil Corbett ci ha detto che vorrebbe fare un passo indietro e lasciare che qualcun altro assuma il ruolo di guida in questo sforzo cruciale”, ha spiegato la direzione del giornale.

Tre fonti della redazione hanno spiegato che la mossa era legata alle pressioni subite per ammorbidire la copertura e rivolgerla a favore di Israele. Uno dei post sui social media che erano piaciuti a Schwartz e che hanno scatenato la revisione del Times, sosteneva che, ai fini della propaganda israeliana, Hamas dovesse essere sempre paragonato allo Stato Islamico. Un portavoce del Times ha dichiarato a The Intercept: “La vostra affermazione su Phil Corbett è assolutamente falsa”. E, in una dichiarazione ricevuta dopo la pubblicazione: “Phil aveva chiesto di cambiare ruolo prima ancora che Joe Kahn diventasse direttore esecutivo nel giugno 2022. E non aveva assolutamente nulla a che fare con una disputa sulla copertura”.

The Intercept
Dossier Gaza/3a – Continua

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