Dossier Gaza/2 – La montatura mediatica degli stupri di Hamas nei kibutz ha giustificato 30 mila morti

La Striscia è preclusa ai media internazionali per ragioni di sicurezza. Da ottobre è entrata clandestinamente solo per alcune ore, una giornalista della CNN. Altri reporter sono entrati embedded, cioè al seguito e scortati dalle truppe israeliane.

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Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
18 Marzo 2024

Israele non potrà utilizzare in nessun tribunale internazionale le proprie accuse di violenze sessuali contro Hamas, perché l’inchiesta è risultata una macchinazione ad arte dei servizi e dell’esercito israeliano. E’ stata così smontata anche l’inchiesta pubblicata dal New York Times a gennaio con incredibile risonanza mediatica. Africa ExPress aveva già espresso dubbi sull’indagine.

Striscia di Gaza: quasi 30 mila morti

Intanto con il pretesto di rincorrere terroristi assassini e violentatori seriali, sono state uccise 30 mila persone a Gaza, la maggior parte donne e bambini e due milioni di persone sono allo stremo e alla fame. Secondo un’ispezione dell’Organizzazione mondiale della salute in due ospedali di Gaza (al-Awada e Kamal Adwan) a marzo sono morti diversi bambini di fame nel Nord di Gaza. Mentre l’Occidente tace ed è complice, sui canali social il genocidio palestinese è diffuso in mondovisione con aggiornamenti quotidiani e non solo in lingua araba.

Ma ai media internazionali Gaza resta preclusa da Israele per ragioni di sicurezza. Da ottobre è entrata, e clandestinamente, solo una giornalista della CNN con medici qatarioti per alcune ore. Altri reporter sono entrati embedded, cioè al seguito e scortati dalle truppe israeliane.

Dimissioni del portavoce IDF

La tv israeliana Channel 14 due settimane fa ha dato la notizia delle dimissioni del portavoce dell’IDF (Israel Defence Forces, l’esercito israeliano), Daniel Hagari, del suo omologo responsabile per i media esteri, il tenente colonnello Richard Hecht, e di due altri ufficiali.

Ufficialmente la rinuncia all’incarico sarebbe dovuta a scelte “professionali e personali”. Ma viene il sospetto che siano legate alla madre della propaganda: quella volta ad accusare di violenze sessuali di massa e violenze su bambini i militanti di Hamas, responsabili del raccapricciante assalto ai kibutz del 7 ottobre terminato – grazie anche all’intervento dell’esercito israeliano – con 1.200 morti.

Le prime accuse

Sui giornali dello Stato ebraico le prime accuse di violenze sessuali di massa e stupri etnici nei confronti dei militanti di Hamas sono apparse lo scorso novembre. Nei vari articoli non sono mai state riportate testimonianze delle vittime sopravvissute. Sono state invece citate solamente una serie di narrazioni da parte di terzi.

Molti giornali israeliani per mesi hanno battuto titoli a pagina intera su minacce e paure di stupro anche durante la prigionia delle rapite/liberate. Leggendo poi gli articoli si poteva constatare che non c’era alcuna prova e le brutalità non si erano verificate. Israele ha deciso di cavalcare l’onda e calcare la mano sulle violenze sessuali anche con discorsi ufficiali dei propri portavoce presso le Nazioni Unite. E poi ancora accuse sugli stupri sono state lanciate dal premier Benjamin Nethanyahu, parole riprese perfino dal presidente degli Usa Joe Biden. Alla fine anche una montatura diventa certezza.

Attacco Hamas 7 ottobre 2023

Un crescendo rossiniano culminato con alcuni articoli che hanno avuto risonanza a livello globale come quello pubblicato dal New York Times il 28 dicembre dal titolo “‘Screams Without Words’: How Hamas Weaponized Sexual Violence on Oct. 7”. Il pezzo a firma di Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz, Adam Sella, è stato ripreso da tutta la stampa occidentale ma Africa ExPress da subito ne aveva messo in dubbio l’accuratezza e l’analisi delle fonti.

Buchi nell’inchiesta

I giornalisti della testata americana hanno chiesto chiarezza per difendere la credibilità del loro giornale, anche perché è apparso chiaro che le fonti non fossero state verificate a dovere. C’erano parecchi buchi nell’inchiesta e nessun testimone civile o vittima.

A smontare definitivamente la tesi è stato ora un attivista su Twitter/X che ha rivelato una serie di like imbarazzanti, su Gaza e la morte ai palestinesi, fatti dalla Schwartz, prima dell’assunzione presso la prestigiosa testata americana. Quindi si è scoperto che la giornalista è stata impiegata dal quotidiano dopo il 7 ottobre per collaborare all’inchiesta con Gettleman e Sella proprio sugli stupri, ma in realtà ha fatto parte dell’intelligence dell’aviazione militare ed è lei l’autrice di tutti i rapporti pubblicati sulla violenze alle donne e i bambini bruciati (a volte nei forni di casa, secondo una delle narrazioni ad opera anche di suprematisti volontari dell’associazione Zaka).

Secondo un’inchiesta di Intercept nei mesi tra ottobre e dicembre alcuni capiredattori del NYT sono stati anche mobbizzati perchè cercavano di essere neutrali rispetto alla guerra tra Hamas e Israele. E così una volta che sono stati messi da parte i rompiscatole, finalmente la testata ha cambiato la narrativa su Hamas, cominciando a chiamare i militanti dell’organizzazione “terroristi” e stabilendo il parallelo Hamas/ Stato islamico.

https://theintercept.com/2024/02/28/new-york-times-anat-schwartz-october-7/

Insomma avevamo ragione noi di Africa ExPress. Ed anche Blumenthal aveva ragione.

Diamanti africani

Per altro Africa ExPress, in un articolo del 17 gennaio aveva collegato anche la vicenda dello sfruttamento dei diamanti africani nella Repubblica Democratica del Congo con figure poco trasparenti, come il miliardario israeliano Dan Gertler, legato ai partiti suprematisti di destra. Qualche giorno dopo tale vicenda è stata pure ripresa dai giornali americani.



Mehdi Raza Hasan (nato nel luglio 1979) è un giornalista britannico-americano di origine indiana , commentatore politico, editorialista, autore e cofondatore del media Zeteo. Dal febbraio 2024, lavora al The Guardian come editorialista.



Anche grazie alla propaganda martellante e continua, l’opinione pubblica israeliana resta massicciamente a favore della guerra: secondo il Peace Index dell’Università di Tel Aviv l’87 per cento degli ebrei israeliani (tre quarti degli israeliani) pensa che 30 mila morti palestinesi sia una cifra giustificabile; la metà ritiene che Israele stia usando una risposta militare proporzionata e il 43 per cento pensa che si potrebbe fare di più. Una più recente ricerca dell’Indice di democrazia in Israele sostiene che tre quarti degli israeliani pensino che ora sia necessario attaccare Rafah. Quindi di fatto pur criticando il premier Netanyhau e spesso invocando dimissioni, la popolazione è totalmente a favore dell’operato del governo. 

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
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