Cornelia I. Toelgyes
29 febbraio 2024
Oltre mezzo milione di sudanesi in fuga stanno cercando protezione nel vicino Sud Sudan, il Paese più giovane della Terra, giacché ha guadagnato la sua indipendenza solo nel 2011. Mentre martedì Washington, l’ONU e tutte le associazioni umanitarie hanno denunciato il blocco dei convogli che attraversano il confine con il Ciad.
Dopo il divieto imposto da Khartoum di far arrivare i convogli umanitari destinati al Darfur via Ciad, la situazione è peggiorata ulteriormente. Nella travagliata regione sudanese milioni di persone rischiano di morire di fame. L’allarme è stato lanciato martedì scorso da un gruppo di difesa dei diritti degli sfollati.
Reuters è riuscita ad ottenere una copia digitale dell’ordine diramato dall’esercito, che vieta ai convogli l’accesso a una via cruciale per i rifornimenti destinati alla regione del Darfur, controllata dalle RSF.
Come era prevedibile, il ministero degli Esteri sudanese ha respinto le “false accuse” di Washington. Sostiene infatti che il confine tra Sudan e Ciad è “il principale punto di ingresso per armi ed equipaggiamenti” destinati dagli antigovernativi del Rapid Support Forces per commettere “atrocità” contro i sudanesi.
Per scappare dal sanguinario conflitto in Sudan, la gente utilizza camion carichi all’inverosimile di persone sofferenti, disperate e affamate. I mezzi arrivano a Renk, che dista solamente una decina di chilometri dal confine sud sudanese. I due centri di transito allestiti dall’ONU allo scoppio del conflitto, sono sovraffollati. Secondo l’ONU, finora sono arrivati in 560 mila e l’afflusso non tende a diminuire; mediamente 1.500 fuggitivi chiedono giornalmente ospitalità nei campi di Renk.
Sempre secondo fonti delle agenzie del Palazzo di Vetro, 25 milioni di persone, più della metà della popolazione dell’ex protettorato anglo-egiziano, necessitano di aiuti umanitari, mentre 3,8 piccoli, al di sotto dei cinque anni soffrono di malnutrizione.
Dall’inizio del conflitto in Sudan, scoppiato il 15 aprile del 2023 tra i due generali, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), gli ex janjaweed e il de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, hanno messo in ginocchio l’intera popolazione, che è costretta a fuggire a causa dei continui attacchi un po’ in tutto il Paese. Mancano medicinali, medici, ospedali (gran parte dei quali sono chiusi perché distrutti o funzionano a singhiozzo) per non parlare del cibo e dei beni di prima necessità.
“La fame, la mancanza di cibo non devono assolutamente essere usati come arma da guerra nei confronti di cittadini innocenti”, ha specificato il General Coordination for Displaced People and Refugees (Coordinamento generale per gli sfollati e i rifugiati, ndr), e ha aggiunto che negare il cibo agli sfollati è un crimine di guerra.
Il gruppo ha puntato il dito anche contro gli ex janjaweed (i “diavoli” a cavallo che stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini durante la guerra in Darfur), accusandoli di aver ostacolato le consegne e di aver saccheggiato gli aiuti umanitari. Ovviamente le RSF hanno respinto le accuse.
Del resto anche Medici Senza Frontiere (MSF) ha fatto sapere martedì scorso che un gruppo di uomini armati non meglio identificati ha fatto irruzione nella loro base a Zalingei, capoluogo del Darfur centrale, controllato dai paramilitari di Hemetti.
Intanto lunedì scorso Washington ha nominato Tom Periello come inviato speciale per il Sudan. Secondo quanto ha dichiarato Anthony Blinken, segretario di Stato USA, Periello dovrebbe cercare di coordinare l’impegno dei partner africani e mediorientali per fermare il conflitto in Sudan.
Anche Linda Thomas-Greenfield, ambasciatore USA accreditata al Palazzo di Vetro, mercoledì scorso, durante un suo intervento al Consiglio di Sicurezza, ha chiesto all’ONU di intervenire per contribuire a porre fine a un conflitto che dura ormai da quasi un anno Gli Stati Uniti hanno affermano che le parti in causa hanno commesso crimini di guerra, e le RSF e le milizie alleate si sono macchiate anche di crimini contro l’umanità e pulizia etnica.
Qualche giorno fa il presidente sudanese al Burhan è stato ricevuto a Tripoli da Mohamed al-Menfi, leader del governo libico sostenuto dalle Nazioni Unite nella Libia occidentale. Il capo di Stato sudanese è stato accompagnato dal ministro degli Esteri, Ali Sadiq, e dal direttore dell’intelligence, Ahmed Ibrahim Mufaddal.
Come il Sudan, anche la Libia è divisa, giacchè la parte orientale della ex colonia italiana è controllata dall’Esercito nazionale libico (LNA) di Khalifa Haftar, i cui comandanti hanno stretti legami con l’RSF e altri gruppi armati del Darfur. I consulenti delle Nazioni Unite, in un recente rapporto hanno identificato la Libia come fornitrice di armi, carburante e autovetture agli ex janjaweed.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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