Cornelia I. Toelgyes
18 febbraio 2024
Amina Noor, una donna quarantenne residente Harrow, Londra, è stata condannata a 7 anni di galera dall’ Old Bailey (Tribunale penale centrale londinese, ndr), perché nel 2006 ha portato una bimba di 3 anni in Kenya, dove è stata sottoposta alla mutilazione genitale femminile (MGF). I giudici del Regno Unito hanno emesso una sentenza storica severissima nei confronti di una persona per aver collaborato a un atto di infibulazione.
Nel 2019, invece, è stata processata e condannata a 11 anni di prigione una donna ugandese di Walthamstow, nell’est di Londra, per aver mutilato lei stessa una bambina di tre anni.
Nel 2006, la Noor, all’epoca 22enne, si era recata con la piccola da Harrow verso il Kenya. Lì la bimba fu portata in una casa privata e sottoposta a MGF.
Secondo un’antica tradizione che risale ai tempi dei faraoni, quella che viene chiamata anche “circoncisione femminile”, riguarda la rimozione, in toto o in parte, della parte esterna dei genitali delle donne. In alcuni casi comporta il taglio del clitoride e la cucitura delle grandi labbra.
Di solito vengono eseguite da una donna specializzata in MGF con una lama e senza anestetico. L’eventuale cucitura nel villaggio della boscaglia avviene utilizzando spine d’acacia come spilli. Sebbene sia internazionalmente riconosciuta come violazione dei diritti umani, si calcola che siano circa 68 milioni le ragazze in tutto il mondo che rischiano di subire questa atrocità entro il 2030.
A dispetto di quanto molti credono, non è una regola musulmana, tant’è vero che in Arabia Saudita, il Paese culla dell’islam, non viene per nulla praticata. E’ diffusa invece in Egitto e nella fascia dell’Africa sub sahariana, anche tra le comunità cristiane o animiste. Sono le madri che la impongono alle figlie e viene praticata tra l’infanzia e i 15 anni di età.
La Noor ha spiegato alla Corte che l’infibulazione viene praticata per motivi culturali e anche lei stessa è stata sottoposta alla mutilazione genitale in età infantile. Ma il giudice Bryan non ha voluto sentire ragioni e durante la lettura della sentenza ha sottolineato che si tratta di un crimine orribile e ripugnante che lascia segni indelebili nella vita della vittima.
Il magistrato ha poi elogiato il coraggio della ragazza, che si è confidata con la sua insegnante e spera che altre giovani si facciano ora avanti e denuncino le violazioni e i crimini subiti. Mentre il legale della Noor ha cercato di spiegare che l’accusata era convinta di fare la cosa giusta per essere accettata dalla gente della sua cultura.
Il procuratore Deanna Heer KC pur riconoscendo la “pressione culturale”, ha specificato che la Noor “non è intervenuta in alcun modo per proteggere” la ragazza. Il suo crimine è venuto alla luce solo anni dopo, nel novembre 2018, quando la vittima, allora sedicenne, si è confidata con la sua insegnante di inglese a scuola.
La vittima, che oggi ha 21 anni e la cui identità non può essere resa pubblica per motivi legali, il giorno dell’infibulazione, ha pianto tutta la notte per i dolori.
Noor è nata in Somalia e si è trasferita in Kenya all’età di otto anni durante la guerra civile nel suo Paese. A 16 anni è arrivata nel Regno Unito e in seguito ha ottenuto la cittadinanza britannica.
Faty Kane, consulente senior per i diritti delle bambine di ActionAid UK, ha accolto favorevolmente la sentenza, ma ha precisato: “Le punizioni da sole non funzionano; per porre fine alle mutilazioni genitali femminili bisogna lavorare con le comunità”.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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E noi stiamo riempiendo l'Europa di gente come questa. 3-4 generazione e non si va in Kenya a fare ste porcherie, si fanno direttamente in Europa magari spesati dal SSN. Folli.