Cornelia I. Toelgyes
11 febbraio 2024
La guerra dei due generali che infuria in Sudan dal 15 aprile dell’anno scorso non tende a placarsi. Finora sono morte tra 13.000 – 15.000 persone. Cifra sicuramente sottostimata e alla quale vanno aggiunti quelli che hanno perso la vita durante la fuga.
Pochi giorni fa nel Mediterraneo, al largo della Tunisia, sono annegati 13 sudanesi e altri 27 risultano dispersi. Il gruppo, composto da 42 persone, era partito da Jebiniana, Sfax; tutti erano regolarmente registrati come rifugiati all’UNHCR. L’imbarcazione con la quale hanno tentato di raggiungere le coste italiane, si è capovolta e, secondo quanto riportato da Farid Ben Jha, portavoce del tribunale di Montasir, la guardia costiera tunisina è riuscita a salvarne solamente due.
Certo, sono naufragati per scappare dalla guerra nel loro Paese, ma non solo. L’accoglienza che la Tunisia riserva ai migranti africani è ben nota. Basti pensare alle parole pronunciate un anno fa dal presidente tunisino, Kaïs Saïed, che ha definito coloro che provengono da Paesi sub sahariani “orde di immigrati clandestini, fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili”.
Altri sudanesi, invece, muoiono di fame e stenti anche nei campi per sfollati e profughi. E proprio qualche giorno fa l’UNICEF ha lanciato un nuovo allarme: “Settecentomila bambini rischiano di essere colpiti dalla peggior forma di malnutrizione e decine di migliaia potrebbero morire”. Oltre 10,7 milioni di sudanesi hanno dovuto abbandonare le proprie case, tra loro 1,7 sono fuggiti nei Paesi limitrofi. Il Ciad ospita il 37 per cento di chi ha cercato protezione all’estero, il Sud Sudan il 30 per cento, l’Egitto il 24 per cento e l’Etiopia, la Libia e la Repubblica Centrafricana il resto.
La situazione umanitaria resta catastrofica in tutto il territorio nazionale. Oltre 25 milioni di sudanesi necessitano di aiuti umanitari.
Poi piove sempre sul bagnato: il colera si sta diffondendo a causa delle cattive condizioni igieniche. Finora sono stati riscontrati 10.500 casi sospetti e 292 decessi.
La guerra tra i due generali, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e il de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, non solo ha messo in ginocchio l’intera popolazione, ma ha anche distrutto gran parte delle infrastrutture del Paese. Gli ospedali, sono chiusi o operano solo parzialmente per mancanza di medicinali, attrezzature e personale.
Dall’inizio del mese, la rete internet non funziona quasi del tutto e in alcune zone è fuori uso. Le due fazioni si accusano a vicenda di aver provocato i guasti.
Dopo un’assenza prolungata, l’8 febbraio scorso il presidente al-Burhan è ritornato a Khartoum. Si trovava a Port Sudan, nel nord-ovest del Paese, dallo scorso agosto, insieme al Consiglio sovrano e al governo.
Obiettivo principale del suo rientro nella capitale è quello di allentare le tensioni all’interno dell’esercito.
Negli ultimi mesi il presidente sudanese si è recato spesso all’estero, dove ha incontrato diversi capi di Stato. Un prossimo tour lo porterà a breve a Teheran, in Turchia e in altri Paesi della regione.
Mercoledì scorso a Ginevra Martin Griffiths, capo di Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, ha annunciato che le parti belligeranti abbiano accettato di incontrarsi per discutere di questioni umanitarie. Al meeting in Svizzera dovrebbero partecipare i due generali. Non è ancora stata fissata la data
Cornelia I. Toelgyes
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