Costantino Muscau
Nairobi 1° febbraio 2024
“Tutte le nazionali di calcio dei Paesi arabi sono state eliminate, sono
rimaste in campo solo quelle africane vere”. Così ha esultato su X (già
Twitter) il tifoso Dahiru Dauda Idris alla vista del tabellone con le
squadre che si affronteranno il 2 e il 3 febbraio nei quarti di finale della
37esima edizione della Coppa delle Nazioni africane in svolgimento in
Costa D’Avorio.
E così ha dato ragione al titolo di un libro del celebre psichiatra
americano Robert L. Simon: “I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno”.
Sono stati in tanti nell’Africa nera a pensarlo nel vedere sbattuti fuori
dal torneo, nel girone eliminatorio, Egitto, Marocco e Algeria e Tunisia, Mauritania.
E rallegrarsi nel guardare elenco delle 8 squadre rimaste: Nigeria, Angola
(2 febbraio), Congo, Guinea Bissau (idem) Mali, Costa d’Avorio (3
febbraio), Capo Verde, Sud Africa (pure il 3 febbraio). Tutte
rappresentanti nazioni situate nel Subsahara, al di sotto del Sahel,
tropicali, equatoriali o sub equatoriali, con centinaia di etnie che il
nostro tifoso (cripto leghista?) considera genuinamente afro.
A dire il vero, anche all’interno di chi sta a nord del Sahel, non c’è
proprio un grande amore. Alla notizia della sconfitta, il 30 gennaio sera,
del Marocco da parte dei Bafana Bafana del Sud Africa (un secco 2-0),
centinaia di tifosi algerini sono scesi in strada urlando dalla gioia. Facile
e immediata la ripicca dei fans marocchini: “Noi siamo diversi da loro,
nel 2019 quando l’Algeria vinse noi gioimmo con loro e per loro”.
Lontani i tempi in cui i magrebini, vittoriosi sul Portogallo di Cristiano
Ronaldo, ai mondiali del Qatar, nel dicembre del 2012, andarono in
semifinale: allora rappresentavano l’Africa intera.
Va a capirlo questo pazzo mondo del pallone….
Di sicuro questa Coppa d’Africa ha riservato sorprese a non finire e
capovolgimenti che ricordano il cosiddetto editto di Franceschiello: “Chilli che stanno abbascio vann’coppa e chilli che stanno ‘ncoppa vann’abbascio”.
Esemplificando fuor di vernacolo: la Guinea Equatoriale, che aveva
rifilato 4 pappine a zero ai padroni di casa e aveva chiuso il girone in
testa, il 28 gennaio è stata battuta dall’altra Guinea e spedita a casa. La
beffa è stata che causa del suo male è stato il capocannoniere della
manifestazione, Emilio Nsue, 34 anni, che ha fallito sia un gol già belle
che fatto è un rigore. In compenso la Costa d’Avorio, data per spacciata, era stata recuperata come terza e ha cacciato il favoritissimo Senegal,
campione uscente, lunedì 29 gennaio, sconfiggendolo ai rigori.
I Leoni della Teranga non hanno gradito l’eliminazione. Un loro
attaccante, Krepin Diatta, 24 anni, (gioca nel Monaco) rientrando negli
spogliatoi, ha urlato ai dirigenti della federazione calcistica africana:” Ci
avete ucciso. Siete corrotti. Tenetevi la vostra Coppa d’Africa”.
Sicuramente seguiranno sanzioni…
Non meno dolorosa, ma meno violenta, la reazione dei
Leoni dell’Atlanta. Prima del match con il Sud Africa, preghiere intense
ad Allah di giocatori e tifosi, poi fiumi di lacrime di fronte alla
conclusione disastrosa della loro partecipazione alla Coppa. Vale la
pena ricordare che il Marocco è la prima squadra del continente nero ed
è fra i tre giganti (con Egitto e Algeria) tornati in patria con la coda fra le
gambe.
Quanto a preghiere, non sono stati da meno in Congo RD. Secondo
quanto ha scritto Patrick Llunga corrispondente di The Nation da
Kinshasa, la partita tra congolesi ed egiziani ha spinto molti predicatori
a ricorrere alla Bibbia, esattamente al capitolo 14:13 dell’Esodo: “Gli
egiziani che vedi oggi, non li vedrai mai più!”
I Leopardi congolesi avevano una paura fottuta dei Faraoni: non li
battevano dal 1974 (allora era Zaire. E vinsero la Coppa). Questa volta ci
sono voluti i rigori: il portiere Lionel Mpasi-Nzau, 29 anni, francese
naturalizzato congolese, ha segnato l’ultimo tiro dal dischetto dopo che
l’omologo avversario Mohamed Gabaski,35, aveva sbagliato. Scherzi del
pallone.
C’è poi chi non ha neanche partecipato alla competizione, ma si è
divertito a sfottere i vicini di casa. Parliamo del Kenya verso la Tanzania,
che non ha mai vinto una sola partita nella Coppa della nazioni africane
e ha dovuto aspettare 30 anni per partecipare alle finali. “Siete più bravi
a cantare che a giocare, l’aereo che vi ha portati ad Abidijan non doveva
spegnere i motori”, hanno irriso in tanti i Taifa Stars (stelle della
nazione) di Dar es Salaam.
Forse solo invidia. Il Kenya intanto cerca di migliorare il suo calcio. Un
forte aiuto, anche se soprattutto simbolico, lo sta dando l’Italia.
È appena ripartito infatti sulle sponde dell’ oceano Indiano un nuovo
ciclo di 22 bambini dai 7 agli 11 anni che frequentano le prime due classi
della Ganda Primary School, in uno dei quartieri periferici più poveri di
Malindi. Fanno parte del Real Malindi (un nome non casuale): è
l’accademia, che racchiude tre leve calcistiche, quella dei bambini dai 7
agli 11 anni, quella juniores dai 12 ai 17 e la squadra vera e propria, composta da giovanissimi Under 21, che si è iscritta al campionato
regionale della costa, una sorta di LegaPro nazionale. Una scuola di
football creata nel 2009 da un gruppo di volonterosi nostri connazionali
per tentare di contrastare microcriminalità, droga e prostituzione
minorile.
Malindi non è (soltanto o più) la cartolina turistica che ci hanno venduto
per anni. Come ha scritto l’antropologa dell’università di Torino, Lea
Viola, 38 anni, nel suo libro “Corpi fuori controllo – violenza omofobia ed
eteronormarivita’ a Malindi”, “Malindi ha anche un passato ingombrante
di colonialismo, turismo di massa a cui si associa una forte
razzializzazione e oggettificazione dei corpi neri che diventano vittime
del turismo sessuale europeo”. Del quale una parte della generazione di
italiani ha fatto ampiamente parte. La scuola calcistica, diretta da Davis
Badili, ha già dato buoni frutti. La microcriminalità adolescenziale e l’uso
di stupefacenti tra i minori delle periferie di Malindi sono calate del 40 per cento.
Alcuni ragazzi hanno proseguito negli studi, come il capitano Joseph
Nyababwe, laureatosi da poco in Risorse Umane all’università di
Eldoret. Altri hanno dimostrato talento per il calcio, come Eugene Moses
Mokangula, che gioca nella Premier League keniota ed è stato un
cardine della nazionale Under 21.
In serie A, nel Thika United, gioca Baraka Badi, 25 anni, che per essere
accettato nella Real Malindi arrivò alle selezioni camminando a piedi
nudi per 30 chilometri e senza cibo da due giorni. Un suo collega gioca
in Europa.
Per loro, come calciatori, c’è uno stipendio di circa 500 euro al mese.
Ma soprattutto – specifica Badili – prima del pallone fondamentale è lo
studio. Far parte della Real Malindi deve essere uno stimolo per farli
rendere meglio a scuola. Perché se non superi la sufficienza, sei fuori
dal team, anche se sei il nuovo Cristiano Ronaldo”.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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