ISRAELE

Gaza, la guerra dei sondaggi e le immagini scioccanti dei massacri

Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
24dicembre 2023

E’ guerra anche nei sondaggi. Un rilevamento del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR) dice che il 57 per cento dei palestinesi di Gaza e l’82 nella West Bank appoggia l’attacco di Hamas ai kibbutz che ha causato 1.200 morti e 240 rapiti (https://www.pcpsr.org/en/node/961  A Gaza però l’appoggio scende al 57 per cento.

Bisogna però precisare che l’85 per cento degli stessi intervistati a Gaza e nella West Bank dichiara anche di non aver visto in rete i video delle violenze perpetrate da Hamas e l’89 per cento pensa che Hamas non abbia fatto crimini di guerra, ma a Gaza dove sale la percentuale di quelli che hanno visto i video, il 16 per cento pensa che sì, i militanti di Hamas abbiano commesso dei crimini. Da settembre la percentuale di palestinesi che approvano il ricorso alla lotta armata è passato dal 53 al 63 per cento. L’80 per cento chiede le dimissioni di Abu Mazen. Il sondaggio ha avuto molta eco sulla stampa israeliana.

Così hanno larga risonanza altri rilevamenti condotti negli Stati uniti: uno di Harvard Cap/Harris rivela che il 51 per cento degli americani ritiene che lo stato di Israele dovrebbe sparire e venir dato ai palestinesi ed Hamas. Un altro dell’Università del Maryland Critical Issuee Pool con Ipsos dice che i 57 per cento degli americani criticano il modo con cui Biden ha gestito la guerra mediorientale.  Le percentuali salgono tra i giovani sotto i 30 anni.

Quanto a Israele, a ottobre, prima della guerra il 49 per cento degli israeliani chiedeva di non invadere Gaza e un quarto pensava opportuno attaccare subito (Reuters), poi ha prevalso la logica del sostegno alla guerra, con pubblicità delle banche ai prestiti alle reclute in cui si vedono soldatesse sui carri armati e molti articoli di solidarietà alla missione dei soldati e dei riservisti in guerra.

Oggi in un sondaggio di Midgam per il Canale News 12, dice che solo il 19 per cento sarebbe a favore di lasciare Gaza in gestione all’Autorità palestinese, il 54 si oppone e il 27 non sa.

Molti dei morti hanno meno di 30 anni. I commenti, a parte poche eccezioni, come Gideon Levy su Haaretz che dall’inizio scrive che non servirà ad eliminare Hamas anzi la rafforza, sono di appoggio alla guerra.

Sempre nei sondaggi pochi gli spiragli di pace: la soluzione dei due Stati è appoggiata dal 39 per cento degli israeliani (35 per cento ristretto ai soli ebrei israeliani), cioè dalla stessa percentuale di prima della guerra, mentre sono cresciuti al 34 per cento i palestinesi che pensano che siano possibili due Stati.

Intanto l’ambasciatore palestinese a Vienna, osservatore permanente alle Nazioni Unite, ha dichiarato che Hamas è pronto a riconoscere Israele se si parla della soluzione dei due stati. Al Monitor ha raccolto altre fonti vicine ad Hamas che ventilano un riconoscimento.

I media israeliani per ora non ci credono. Qualcuno fa anche osservare che l’insistenza di Hamas nelle trattative veicolate dal Qatar sul rilascio dei tre leader di Fatah, Marwan Barghouti, Abdullah Barghouti e Ahmad Saadat, farebbe pensare a un progetto di riconciliazione fra i due partiti per arrivare a nuove elezioni dopo la guerra.

Gli Stati uniti non hanno chiesto il cessate il fuoco ma una diminuzione dei bombardamenti a Gaza e maggior attenzione ai civili. Israele è il loro miglior alleato in Medio Oriente, il grande amico come ha detto il presidente Biden, ma il governo di Netanyahu non sembra accettare alcun suggerimento e anche ora che i giovani americani sono in subbuglio e non approvato un appoggio così incondizionato  e i sondaggi dicono che Trump potrebbe vincere col voto anti-Gaza alle prossime elezioni, di fatto nessuno ferma Bibi.

L’ultima critica arriva da Medici Senza Frontiere che in un comunicato su X scrive: “Il modo in cui Israele prosegue la guerra, con il supporto degli Usa, sta causando morte e sofferenza per i civili palestinesi ed è contro ogni norma e legge internazionale. Basta attaccare gli ospedali, i lavoratori della sanità e le ambulanze”.

Dopo la risoluzione Onu sugli aiuti a Gaza, anche oggi Israele non ha smesso di bombardare la Striscia (dall’inizio della guerra al 10 dicembre IDF registra 22 mila attacchi sopratutto nel nord di Gaza). Gli ultimi attacchi sono stati sui campi di rifugiati di Nuseriat e Khan Younis.

Al 76esimo giorno di guerra i morti sono arrivati a 20 mila ma i numeri, secondo alcune organizzazioni, sono sottostimati. Ma i politici israeliani dicono che “non ci sono innocenti a Gaza”, anche se fonti militari sostengono che solo un terzo dei morti aveva legami con Hamas (Haaretz del 22 dicembre) e il 70 per cento dei caduti sono donne e bambini (Governo di Gaza).

Per altro il direttore dell’Unrwa per Gaza, Thomas White, dice che dalla risoluzione non è cambiato niente: “la gente continua ad essere spostata da una zona a un’altra di Gaza, Rafah che di solito ha 280 mila abitanti ora ne ospita un milione”. White è tornato a chiedere un cessate il fuoco.

A rischio fame sono il 90 per cento dei 2,3 milioni di gazawi (secondo li sistema di calcolo delle provviste alimentari e accesso al cibo Integrated Security Phase Classification IPC). Secondo World Food Programme nove abitanti su dieci saltano pasti per lunghi periodi e in media hanno due litri di acqua potabile a testa al giorno. Le proiezioni dicono che Gaza a febbraio sarà alla fame se gli aiuti non entreranno per davvero.

Il campo profughi di Al Zataar a Jabalia dopo il bombardamento israeliano di fine ottobre

Prima della guerra entravano nell’enclave controllata da Israele e dall’Egitto 10 mila tir al mese. Negli ultimi due mesi ne sono passati 1.249 (dati WFP). Sul Jerusalem Post il governo venerdì 22 attaccava le Nazioni Unite dicendo che non sono in grado di gestire il flusso di aiuti ai palestinesi a Gaza: il presidente israeliano Herzog ha detto al presidente del senato francese a Gerusalemme che il suo Paese ha fatto il possibile “from the very first  moment”: “potremmo far passare 400 tir al giorno, ma a causa della pesante disorganizzazione delle Nazioni Unite ne passano 125 al giorno”, ha detto Herzog, nonostante a dicembre sia stato riaperto anche il varco di Kerem Shalom nel Negev israeliano.

Intanto l’esercito di Tel Aviv sta smobilitando le truppe da alcuni settori del nord di Gaza, come Tel Al Zaater. Un reporter palestinese di Al Jazeera è entrato nel quartiere e ha trovato diversi cadaveri, tra cui uno appare denudato, come un sospettato guerrigliero arrestato. Nell’ospedale di Al Awda  un operatore sanitario ha detto che sono stati portate via 86 persone.



REPORTAGE DA JABALIIA 

TRADUZIONE SOMMARIA DEL TESTO DEL VIDEO

Parla il corrispondente di Al Jazeera

Siamo a Tel Al Zaater, nella zona di Jabalya. Siamo riusciti a raggiungere quest’area dopo che le forze di occupazione israeliane e le macchine l’hanno assediata per oltre 20 giorni.

Qui vediamo i crimini commessi dalle forze di occupazione. Ci sono 10 corpi di martiri a terra nelle strade, come vediamo qui. Anche le dimensioni della distruzione dell’area sono molto grandi.

(Si trova ora vicino alla tenda verde).

Come vediamo qui, i corpi dei martiri sono ovunque. Le squadre mediche non sono potute arrivare qui a causa dell’assedio delle forze israeliane.

(Si vede un uomo che trascina via un corpo morto. Penso che le squadre della protezione civile o forse dei volontari stiano cercando i cadaveri e li segnino coprendosi il volto per poi rimuoverli).

Hanno distrutto l’intera area. I corpi dei martiri sono ovunque. È indescrivibile.

(Sembra che sia scoppiato a piangere).

Al minuto 1,22

Ecco la distruzione delle scuole nelle vicinanze dell’ospedale indonesiano.

Al minuto 2.22

Ci stiamo dirigendo verso l’ospedale di Al Awda, che è stato assediato per più di 10 giorni. Gli occupanti hanno arrestato il direttore dell’ospedale e alcuni membri del personale medico. Hanno anche commesso un genocidio all’ospedale di Al Awda.

Al minuto 2.50

Parla l’operatore medico

Per 18 giorni non abbiamo potuto muoverci. Hanno sparato a chiunque uscisse.

Hanno portato via il medico Ahmed. Ha passato la notte con loro. Il giorno dopo sono tornati e hanno detto: “Tutti gli uomini tra i 20 e i 40 anni, uscendo a gruppi di 20 persone, vadano dentro i vagoni-box (penso che intendesse i vagoni delle prigioni israeliane o qualcosa del genere). Hanno portato via le prime 20 persone e poi hanno detto basta. Il giorno dopo sono tornati con il dottor Ahmed e hanno voluto che tutti gli uomini sopra i 16 anni uscissero a gruppi di 20 e tutti nudi dalla vita in su. Hanno portato via circa 86 persone. Al minuto 3.48

Le forze israeliane sono passate di qui e hanno distrutto tutte le case.

Qui vicino all’ospedale Al Awda, che è solo per le donne che partoriscono. Qui ci sono 2 donne sepolte. Erano venute all’ospedale per partorire. Lì c’è il corpo del marito di una di loro. I bulldozer israeliani le hanno travolte e uccise. Qui c’è un corpo e qui c’è l’altro. (Si vedono i corpi vestiti di nero e semisepolti dalle macerie) Ecco altri 2 corpi di donne incinte. Portavano bandiere bianche. Le hanno uccise senza pietà. I bulldozer li hanno investiti e hanno sparato anche a loro. Li hanno uccisi tutti.

Le forze israeliane prendono deliberatamente di mira operatori e strutture mediche. Fanno affermazioni diverse, ma si ripetono in continuazione.

Sembra che gli israeliani prendano di mira anche le donne incinte, come nel video e anche il civile israeliano che ha pugnalato ripetutamente la donna incinta nella sua pancia.

Penso che odino molto il fatto che il tasso di natalità palestinese sia molto più alto di quello israeliano.

Vedono un futuro combattente della resistenza in ogni bambino palestinese partorito da ogni donna incinta.



La pratica di far spogliare gli arrestati palestinesi sospettati di attività per Hamas e lasciarli in mutande secondo IDF, l’esercito israeliano serve per evitare che qualcuno con cinture esplosive  provochi attentati. Anche i giornali israeliani si chiedono quanto risponda alle leggi internazionali sui fermi dei nemici. Il quotidiano Haaretz, come Guardian e Wall Street Journal, hanno raccolto testimonianze indirette di esecuzioni sommarie di detenuti, senza riuscire a raccogliere prove dirette.

I palestinesi sospettati di attività per Hamas vengono trasportati nudi in camion fuori dalla Striscia nel Negev in un centro di detenzione e poi portati in un carcere militare vicino a Gerusalemme. Secondo IDF i fermati a Gaza sono 1.200. Ma alcuni rilasciati, in quanto risultati estranei, raccontano di torture e di sparizioni di alcuni detenuti.  Gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas sarebbero ancora 129, 3 sono stati ammazzati da Hamas alcuni giorni fa. Cinque risultano dispersi dopo bombardamenti di Israele.

Il 12 agosto 1976, un campo profughi palestinese di Tel al-Zaatar a Beirut fu preso d’assalto dalle milizie cristiane e dalle truppe siriane dopo un assedio durato 52 giorni. L’attacco causò la morte di almeno 1.500 palestinesi, molti dei quali erano civili, e la fuga di altre migliaia. Il campo, noto come Tal al-Zaatar (La collina del timo), era una delle ultime roccaforti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nell’area di Beirut Est, dominata dai cristiani. Il massacro di Tal al-Zaatar è stato uno degli episodi più terribili della guerra civile libanese, scoppiata nel 1975 tra fazioni musulmane e cristiane.

A parte la CNN entrata rapidamente nel sud di Gaza dieci giorni fa, nessun giornalista internazionale è riuscito ad entrare e anche le ong e gli organismi legati alle Nazioni Unite dichiarano apertamente le difficoltà nel reperire dati.

Israele di fatto ha creato una cortina che blocca molte informazioni. La guerra viene documentata direttamente solo da giornalisti palestinesi in loco che rischiano continuamente la vita. I reporter uccisi dall’esercito israeliano a Gaza sono 99 (dati del dipartimento stampa del governo di Gaza).

La situazione continua ad essere tesa nei Territori occupati. A Betlemme un reportage di Al Jazeera racconta di una città deserta dove continuano gli arresti di sospettati durante le notti e vengono distrutti edifici. “Non abbiamo mai visto una cosa simile”, dicono i commercianti. Un sacerdote racconta anche che il check point in basso, lungo il muro, viene chiuso per diverse ore. Turisti zero. Anche gli arabi israeliani che vivono all’estero hanno deciso di non tornare per Natale.

Alessandra Fava
alessandrafava2023@proton.me
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maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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