Cornelia I. Toelgyes
21 dicembre 2023
Ieri sono stati chiamati alle urne 44 milioni di cittadini congolesi – su un totale di 100milioni di abitanti – per scegliere il nuovo presidente. La tornata elettorale comprende anche le legislative e quelle locali. Sono stati predisposti all’incirca 75.000 seggi in tutto il Paese, ma gran parte di questi hanno aperto le porte con forte ritardo. Lo ha ammesso persino CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente). Si voterà anche nella giornata di oggi, laddove gli uffici elettorali sono rimasti chiusi per problemi pratici.
La missione delle Chiese cattolica e protestante ha inviato circa 25.000 osservatori sul campo.
Persino nella capitale Kinshasa molti seggi non hanno aperto in orario e le procedure di voto si sono protratte fino a notte inoltrata.
In alcune zone del Nord-Kivu le persone non hanno potuto esercitare il proprio diritto al voto perchè gran parte della regione è continuamente bersagliata dagli attacchi dei ribelli M23 (prende il nome da un accordo, firmato dal governo del Congo-K e da un’ex milizia filo-tutsi il 23 marzo 2009).
Molti residenti hanno dovuto lasciare le loro case, tanti sfollati vivono ora nella periferia di Goma in diversi campi, in condizioni estremamente precarie. La maggior parte di loro, a causa del conflitto tra i ribelli dell’M23 e l’esercito congolese, non ha potuto ritirare i documenti necessari a esercitare il diritto di voto . La Céni non è riuscita a organizzare il processo elettorale nelle località controllate dai ribelli.
Altri sfollati nella regione, pur avendo ottenuto la tessera elettorale, sono stati penalizzati ugualmente, perchè nella fuga il documento è rimasto a casa e ora non hanno più accesso ai villaggi dove risiedevano per ragioni di sicurezza. Secondo OIM (Organizzazione Internazionale per i Rifugiati) gli sfollati in Congo-K sono 6,9 milioni.
Insomma le tensioni hanno causato parecchi episodi di violenza. E i ritardi, dovuti a diverse ragioni, confermano comunque i timori già espressi dai vari partiti all’opposizione e da alcuni osservatori nel periodo pre-elettorale. Problemi che ora potrebbero inoltre alimentare i dubbi sulla legittimità delle elezioni.
In base a diverse fonti autorevoli, l’M23 è sostenuto dal governo di Kigali. E a giugno gli esperti dell’ONU hanno presentato al Consiglio di Sicurezza un rapporto finale che documenta il coinvolgimento dell’esercito ruandese nella guerra nel Nord Kivu. Kigali continua a respingere le accuse.
Anche a Bunia, nell’Ituri (nell’est della ex colonia belga) moltissimi sfollati non hanno potuto votare per problemi di instabilità e non hanno potuto raggiungere il seggio a loro assegnato. Un funzionario di CENI ha riportato che alcuni, delusi e arrabbiati per non aver potuto votare, hanno saccheggiato un seggio elettorale.
Sospetti di frode hanno scatenato incidenti a Mbandaka (nord-ovest) dove, secondo quanto riportato da un leader della società civile, gli spari della polizia sono stati accolti con lanci di pietre da parte della popolazione, che ha molestato un funzionario elettorale e bruciato del materiale.
Son ben 26 i candidati in lizza per la poltrona più ambita. Tra loro anche il presidente uscente Félix Tshisekedi, che corre per un secondo mandato. E’ leder dell’UPS (Union pour la démocratie et le progrès social), partito del quale ha fatto parte anche il padre, l’oppositore storico del Paese, Etienne Tshisekedi, deceduto nel 2017.
Appena arrivato al potere nel 2019, il presidente uscente ha cercato di migliorare l’immagine del Congo-K all’estero, rompendo l’isolazionismo del suo predecessore Joseph Kabila. Tshisekedi ha poi fatto molte promesse ai congolesi, ma poco è stato realizzato e per sua stessa ammissione “resta ancora molto da fare”.
Nell’est del Paese i continui attacchi dei ribelli e dei gruppi armati continuano senza sosta. La popolazione è allo stremo. E anche la lotta contro la corruzione non ha ottenuto i risultati voluti. Il capo di Stato aveva promesso di voler migliorare la qualità della vita dei suoi connazionali, eppure, secondo la Banca mondiale, due terzi della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Inoltre, molti giovani (il 60 per cento della popolazione ha meno di 20 anni) sono disoccupati. L’indice di gradimento di Tshisekedi è sceso drasticamente: a marzo 2019 era del 63 per cento, a marzo del 2023 è sceso al 35,66. Ma Tshisekedi parte ugualmente come favorito in queste elezioni a turno unico, visto che l’opposizione non è riuscita a accordarsi su un unico candidato.
E lunedì, alla chiusura della campagna elettorale, Tshisekedi ha annunciato di voler dichiarare guerra al Ruanda se dovesse essere rieletto e se “i nostri nemici continueranno ad agire in modo irresponsabile”.
Tra gli altri candidati di punta c’è Moïse Katumbi, 58 anni, un ricco uomo d’affari, proprietario della rinomata squadra di calcio di Lubumbashi (nel sud-est), Tout Puissant Mazembe, ed ex governatore (2007-2015) della provincia mineraria del Katanga, cuore economico del Paese, dove è nato. Di madre congolese, mentre il padre, Nissim Soriano, era un ebreo italo-greco di Cefalonia (lui usa il cognome della made, Virginia Katumbi) il che lo rende un bersaglio privilegiato per i sostenitori della “Congolité” (identità nazionale, entrambi i genitori devono essere congolesi), il cui leader ha tentato persino di far invalidare la sua candidatura.
Katumbi è leader del partito “Ensemble pour la République” e fa leva sui suoi successi imprenditoriali e sul suo operato in Katanga, dove ha costruito strade, scuole e sviluppato l’agricoltura, per dimostrare che è in grado di gestire anche il Paese.
Un altro candidato molto quotato tra gli oppositori è Martin Fayulu, 67 anni, leader del partito Ecidé (Engagement pour la citoyenneté et le développement), e ex dirigente di una importante società petrolifera.
E’ molto arrabbiato, perché sia lui che i suoi sostenitori sono convinti che sia stato derubato della vittoria nelle ultime presidenziali. Ora spera di conquistare la tanto ambita poltrona.
Il premio Nobel per La Pace 2018, il 68enne Denis Mukwege, è il candidato più conosciuto ed è apprezzato nel mondo intero per aver curato e essersi occupate delle donne vittime di stupri nel suo Paese. Ora vuole anche “prendersi cura” del Congo-K, che, secondo lui, è diventato la “vergogna del continente”. Mukwege è figlio di un pastore pentecostale, è originario del Sud Kivu (nell’est), dove gestisce un ospedale.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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