Editoriale
Eric Salerno
11 novembre 2023
Il Mare Nostro, ossia il Mediterraneo, è intasato. Portaerei e le navi che le accompagnano: marine americane, russe, italiane e potenze varie del vecchio continente si sfiorano. Sotto, negli abissi, girano sommergibili di tutti i tipi, dal nucleare al tradizionale, armati di un ricco arsenale di missili capaci di distruggere mezzo mondo.
Ogni tanto incrociano navi e sommergibili dell’unica potenza effettivamente in guerra, con un popolo non uno Stato. Israele è il centro del conflitto. Il suo obiettivo dichiarato: distruggere Hamas. Ci riuscirà? Non si sa. E non si sa quale sarà il futuro della striscia e del lungo conflitto tra Israele e il popolo palestinese.
È trascorso un mese dall’inizio del conflitto, l’azione terroristica lanciata dal movimento islamista che governava la striscia di Gaza. L’aria, oggi, è quella che potrebbe anche precedere un complesso, contorto, conflitto mondiale, non più regionale. l’altro giorno un membro del governo israeliano, ultra-religioso di destra, ha annunciato fiero che nella riunione del gabinetto si è discusso della possibilità di usare una bomba nucleare per appiattire la striscia con i suoi oltre due milioni di abitanti.
Il premier Netanyahu, infastidito lo ha “sospeso” anche se, come scrive un editorialista di Tel Aviv, la “sospensione” non esiste. La bomba sulla striscia non è proponibile, spiega un altro uomo di governo israeliano, soprattutto perché non tiene nella dovuta considerazione la probabilità di eliminare anche gli oltre duecento ostaggi di Hamas prigionieri e nascosti nell’enclave palestinese.
E oltretutto ha ricordato un altro militare, da sempre Israele è ambigua: non ammette e non smentisce di avere un’arsenale con almeno cento, probabilmente di più, bombe e missili nucleari nelle posizioni strategiche sui monti a ridosso di Gerusalemme o sui sommergibili nucleari (acquistati dalla Germania) e sicuramente in navigazione nel Mediterraneo o nel Golfo persico-arabico con l’Iran (e forse altri Paesi) nel mirino.
Altra gaffe, sabato del rabbino capo delle forze armate israeliane. “Dio ci ha dato la Terra promessa”, ha spiegato ai soldati sulla linea del fronte nord, “e ci appartiene, tutta”. Non solo Gaza e Cisgiordania ma anche il Libano, ha voluto spiegare.
Le bombe stanno devastando la Striscia, le diplomazie non solo occidentali cercano con poco successo di frenare rabbia e follia tra assurdi riferimenti biblici consapevoli che si è a passo dalla guerra mondiale. L’atteso discorso del capo di Hezbollah, l’importante gruppo politico-militare libanese, è stato un esempio di diplomazia.
Nessun dubbio sulla rabbia sua, dell’Iran, e di buona parte del mondo anche arabo ma, per ora, salvo sorprese, Hezbollah e Teheran non sembrano intenzionati ad allargare il conflitto. Sicuramente li spaventa non solo la potenza militare anche nucleare di Israele ma anche la minacciosa parata dei sommergibili americani in zona.
Sono un deterrente, dice Washington. E Netanyahu, tranquillo, va avanti. Come tutti spera che i piccoli incidenti, come quelli a ridosso del Libano non si trasformano in grandi. Domenica pomeriggio Hezbollah ha sparato un missile anticarro contro un camion vicino al kibbutz Yiftach nell’Alta Galilea. Il civile che guidava il mezzo è stato ucciso. Come risposta un drone israeliano ha colpito un’auto sul lato libanese del confine uccidendo una donna e i suoi tre nipoti. Un errore, si è giustificato Israele. Hezbollah ha risposto sparando razzi sulla cittadina israeliana di Kiryat Shmona.
Civili palestinesi, israeliani e ora libanesi continuano a morire ma nessuno in grado, o vuole, fermare il massacro. Israele continua a respingere l’idea stessa di un cessate il fuoco temporaneo. Netanyahu vuole la fine di Hamas ma i suoi consiglieri militari, oltre a quelli Usa mandati da Biden a dar loro una mano e frenare gli eccessi, ritengono impossibile l’eliminazione di tutti i capi dell’organizzazione islamista e del suo piccolo esercito. Prima o poi, però, le operazioni militari si fermeranno. E poi?
La solita domanda senza risposta. La visita del segretario di Stato americano a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, non ha dato i frutti sperati. Washington, l’amministrazione Biden, voleva un chiaro impegno da parte di Abu Mazen e ha avuto l’unica risposta che poteva arrivare dall’anziano, molto screditato presidente dell’Autorità nazionale palestinese. “Sono pronto ad assumere il controllo di Gaza quando Israele finisce di ammazzare i palestinesi e lascia la striscia ma soltanto all’interno di un accordo chiaro, senza ambiguità, che porterà alla creazione di uno stato palestinese a Gaza, Cisgiordania e con una parte di Gerusalemme come suo capitale”.
In qualche modo Israele ha già risposto. “Gaza resterà per sempre sotto il controllo militare israeliano”.
Eric Salerno
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