Cornelia I. Toelgyes
10 novembre 2023
Anche l’altra mattina a Omdurman, città gemella di Khartoum, sull’altra sponda del Nilo, sibilavano proiettili sopra le teste dei civili. Alcuni sono morti mentre si trovavano in strada quando sono iniziati i combattimenti tra le due fazioni. Testimoni oculari hanno raccontato che esercito e Rapid Support Forces se la sono date di santa regione. I militari del generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, presidente del Consiglio Sovrano e di fatto capo dello Stato, e le Rapid Support Forces, capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti hanno usato anche armi pesanti in quartieri densamente popolati.
I feriti sono stati portati nell’unica struttura sanitaria ancora operativa a Omdurman, l’Al-Nao hospital.
Se a Khartoum e nelle zone limitrofe la situazione è molto grave, nel Darfur è proprio catastrofica. L’ONU teme un nuovo possibile genocidio simile a quello compiuto nella prima decade del Duemila dagli ex janjaweed (termine che più o meno significa “diavoli a cavallo”), che sono stati ribattezzati Rapid Support Forces. Va ricordato che Hemetti ne era il leader: assaltavano i villaggi africani, bruciavano le capanne, ammazzavano senza pietà gli uomini, stupravano le donne e rapivano i bambini costringendoli a arruolarsi.
Persone in fuga verso il Ciad hanno riferito di una nuova ondata di omicidi a sfondo etnico nel Darfur occidentale, dopo che le RSF hanno preso il controllo della principale base dell’esercito a El Geneina, capoluogo della regione. Anche in questo caso testimoni oculari hanno riferito ai reporter di Reuters di aver visto le milizie arabe in azione mentre perseguitavano i masalit a Ardamata, vicino a El Geneina, dove si trova anche un campo per sfollati.
In quell’area l’obbiettivo sono proprio le persone di etnia masalit, popolazione musulmana, ma non araba, che vive a cavallo tra Sudan e Ciad. Si pensi solo che la loro lingua usa caratteri latini e non arabi. UNITAMS (United Nations Integrated Transition Assistance Mission in Sudan) ha confermato l’attacco congiunto di milizie arabe e dei paramilitari, sottolineando che sono stati attaccati soprattutto i masalit. Nel suo comunicato UNITAMS ha poi evidenziato che gli attaccanti hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani.
Secondo quanto riportato Dabanga News, le RSF, dopo aver attaccato un campo per sfollati il 2 novembre scorso nel Darfur occidentale, nei giorni seguenti avrebbero compiuto un strage. In base a quanto ha riferito un testimone all’emittente televisiva Al Jazeera, avrebbero ammazzato brutalmente oltre 1.300 persone, i feriti sarebbero oltre 600, altre 350 disperse.
I miliziani sarebbero entrati in tutte le case, separando gli uomini dalle donne, uccidendo poi moltissimi uomini, soprattutto i più giovani. “Le strade sono cosparse di cadaveri”, ha aggiunto il ragazzo. Si tratta della peggior uccisione di massa dall’inizio della guerra.
I vertici delle RSF hanno annunciato che gran parte delle maggiori città del Darfur sono ora sotto il loro controllo. Hemetti ha poi chiesto ai suoi miliziani di avanzare verso Al Fashir, capoluogo del Darfur settentrionale.
Altri 700 sfollati sono stati cacciati da Gadaref, regione orientale dell’ex condominio anglo-egiziano, dove avevano trovato rifugio in una scuola. Un abitante della zona ha poi riferito ai reporter di AFP di aver visto arrivare vetture della polizia a sirene spiegate e di aver sentito grida provenienti dall’interno della scuola. Gente disperata, costretta a fuggire da un luogo all’altro. Attualmente Gadaref accoglie oltre 273.000 sfollati.
Mentre infuriano le battaglie a Khartoum e in altre parti del Paese, a qualche migliaio di chilometri di distanza, a Gedda, in Arabia Saudita, dalla fine di ottobre rappresentanti delle due parti in guerra, insieme ai mediatori di Washington, Riyad e IGAD sono seduti al tavolo delle trattative per parlare di pace. I precedenti negoziati sono stati interrotti all’inizio dell’estate.
Anche ora le trattative procedono a rilento. Nessun passo significativo è stato fatto finora per porre fine a questa terribile guerra iniziata lo scorso 15 aprile, che, secondo gli ultimi dati rilasciati ieri da ACLED (ONG statunitense, specializzata nella mappatura e analisi nelle zone di conflitto nel mondo), OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e UNHCR, in poco meno di sette mesi ha causato la morte di quasi 13mila persone (cifra quasi certamente sottostimata). Poco meno di 5 milioni sono sfollati, altri 892.888 hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi, mentre 24,7 milioni necessitano di aiuti umanitari.
E con grande rammarico i mediatori hanno fatto sapere che le parti in causa non sono riuscite a concordare un cessate il fuoco. L’Agenzia di stampa saudita ha però riportato mercoledì che le due fazioni hanno accettato di collaborare con le Nazioni Unite per facilitare la consegna degli aiuti umanitari, dopo che il giorno precedente l’Alto Commissariato per i Rifugiati aveva lanciato un nuovo allarme sull’insostenibile situazione umanitaria in Sudan.
Nel frattempo a Kassala, capoluogo dell’omonima regione sudanese al confine con l’Eritrea, Unops (Ufficio delle Nazioni Unite per servizi e progetti) e l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo hanno firmato un’intesa di 4,2 milioni di euro per la fornitura di servizi sanitari.
Michele Tommasi, il nostro ambasciatore accreditato a Khartoum, ma attualmente residente a Addis Abeba per questioni di sicurezza, ha spiegato che l’Italia sta finanziando la creazione della cittadella della salute di Kassala, che, oltre a 120 posti letto, comprenderà anche un centro diagnostico, una banca del sangue, un reparto pediatrico e altre divisioni ospedaliere. Del nuovo centro usufruirà un bacino di utenza piuttosto vasto, circa 2,8 milioni di persone.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Ho dei forti dubbi che trattative di pace e forze di interpolazione possano dare risultati in contesti come questo per cultura e religione. Da che mondo è mondo prima deve vincere il più forte con uno scontro cruento e solo poi se ne potrà parlare.