Speciale per Africa ExPress
Luciano Bertozzi
9 Novembre 2023
Mentre il governo italiano si è astenuto sul cessate al fuoco in Palestina, chiesto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la società civile del nostro Paese si mobilita.
Fermare i combattimenti, le vendite di armi italiane ad Israele ed avviare indagini per portare i responsabili delle barbarie di Hamas e di Tel Aviv in giudizio davanti alla Corte Penale Internazionale.
Lo chiedono Amnesty International, la CGIL, Rete Pace e Disarmo ed altre organizzazioni. Se vogliamo agire per la pace, bisogna vietare gli aiuti militari verso il Paese ebraico. Si tratta di attuare l’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma anche la legge 185/ 1990 che vieta le esportazioni verso i Paesi belligeranti o retti da regimi liberticidi e verso quelli la cui politica contrasti con i princìpi del citato articolo 11.
Nel momento in cui si applica solo la legge dell’occhio per occhio, l’Italia può fornire un contributo alla pace vietando gli aiuti militari a Tel Aviv e proporre una cosa analoga agli altri governi europei. Sarebbe un segnale forte, ma Roma appoggia incondizionatamente la vendetta di Tel Aviv.
Le atrocità di Hamas non hanno scusanti, ma non va dimenticata la continua repressione del popolo palestinese. L’Assemblea Generale ONU – come ricorda Giorgio Beretta di Rete Pace e Disarmo – ha approvato molte risoluzioni di condanna di Israele per l’occupazione dei territori e inoltre ha anche “chiesto a tutti gli Stati di desistere dal fornire ogni aiuto militare e economico fintanto continua ad occupare territori arabi e nega i diritti inalienabili del popolo palestinese” (risoluzione n.31/61 del 9.12.1976). Va ricordato che Israele è l’unica potenza nucleare del Medio Oriente.
Per vent’anni i governi italiani, hanno mantenuto una politica di equidistanza verso il Medio Oriente, conservando però buoni rapporti diplomatici ed economici con Israele. Roma ha attuato una prassi rigorosa e restrittiva sulle forniture di armi a Tel Aviv; infatti tra il 1990 e i primi anni 2000 le autorizzazioni per tali invii erano irrilevanti .
Con il governo Berlusconi però c’è stato un cambio di rotta. Nel 2003 fu firmato un accordo di cooperazione militare con Tel Aviv, ratificato con la legge n.95 del 2005. L’intesa, finalizzata a favorire l’interscambio fra i due Paesi è coperta dal segreto, neanche il Parlamento ne conosce i dettagli.
L’intesa tra i due governi prevede anche la lotta al terrorismo, su tale aspetto il senatore Luigi Malabarba (Misto-Rifondazione Comunista) nel dibattito sulla ratifica dell’accordo ha sottolineato: “Un’altra clausola centrale nella nuova intesa riguarda una non meglio precisata “collaborazione nel combattere il terrorismo”. Visto che Israele considera “terrorismo” qualsiasi forma di resistenza palestinese e libanese, con l’approvazione del Memorandum il nostro Paese rischia di entrare in guerra con i movimenti arabi che cercano di liberare le loro terre dall’occupazione”.
L’accordo prevede in particolare lo scambio di informazioni e esperienze di interesse reciproco in materia di difesa, lo svolgimento di esercitazioni congiunte, l’invito di osservatori, lo scambio di informazioni e attività culturali e ancora lo scalo di unità navali ed aeromobili, incoraggiando inoltre le rispettive industrie alla ricerca, sviluppo e produzione nel settore militare.
Nel 2012 il governo Monti, a seguito degli accordi presi precedentemente presi da Berlusconi, firmò il contratto per la vendita di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 di Alenia Aermacchi, azienda del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo), un affare da un miliardo di dollari.
Gli M-346 possono anche essere equipaggiati di armi e bombe. I primi aerei sono stati consegnati nel 2014. La vendita fa parte di un accordo più ampio fra i Italia e Israele, del valore complessivo di due miliardi di dollari.
La commessa è compensata da Israele, che ha venduto al nostro Paese armi per un importo equivalente. In cambio l’aeronautica militare italiana ha acquistato due aeromobili spia Gulfstream 550 (costo complessivo 800 milioni di dollari circa) e il sistema satellitare OPTSAT-3000 (245 milioni di dollari).
Da allora in poi ci sono state altre forme di collaborazione per la realizzazione congiunta di armi: dai droni subacquei, ai veicoli blindati da combattimento. Contemporaneamente sono aumentate le esercitazioni delle rispettive aviazioni: aerei israeliani hanno utilizzato l’aeroporto militare di Decimomannu, in Sardegna, mentre quelli italiani hanno partecipato a manovre in Israele.
L’aviazione italiana addestra, secondo il blog di Antonio Mazzeo – i piloti di Tel Aviv a Pisa, nell’International Training Center, per l’abilitazione ai velivoli da trasporto C130J e ciclicamente i nostri si recano alla base di Palmachim per addestramenti nella guida di velivoli a controllo remoto.
Nel 2019, i ministeri della Difesa dei due Paesi hanno firmato un accordo per l’acquisto di sette AW119Kx, elicotteri d’addestramento avanzato, per le forze aeree israeliane, del valore di 350 milioni di dollari, in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un valore equivalente di tecnologia militare israeliana.
Nel settembre del 2020, l’accordo è stato ampliato con la fornitura di altri cinque elicotteri AW119Kx, in cambio l’Italia ha acquistato altri missili anticarro israeliani. Il ministro della Difesa di Tel Aviv, Benny Gant, ha così commentato l’accordo: “Riflette l’importante e stretta collaborazione con il ministero della Difesa italiano che va avanti da anni”.
Anche l’allora ministro della Difesa, Lorenso Guerini, in visita a fine 2020 in Israele, era dell’idea che “La volontà di sviluppare ulteriormente gli ambiti di cooperazione nel settore specifico della difesa, una collaborazione che contribuisce sia alla rispettiva sicurezza dei Paesi, sia a ulteriori positive ricadute in termini industriali”.
Nel gennaio 2023, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha incontrato l’ambasciatore israeliano a Roma, Alon Bar. Nel nel corso dell’incontro è emersa la volontà di intensificare ulteriormente la collaborazione fra i due Paesi. Tuttavia come dimostrano i massacri del 7 ottobre, la sicurezza non è data dalle armi bensì da una soluzione politica al problema palestinese
Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
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