Il futuro di Gaza legato a soluzioni impossibili

Incertezza anche sul domani della Cisgiordania

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Da La voce di New York
Eric Salerno
4 novembre 2023

E domani? Cosa si fa di Gaza, di ciò che rimane della Striscia? Dei palestinesi ancora vivi dopo settanta anni di occupazione israeliana e dopo i massicci bombardamenti israeliani dell’ultimo mese? La parola “olocausto” è sulla bocca di tutti.

Per gli ebrei israeliani e per molti nelle comunità ebraiche della diaspora c’è comprensibile odio nei confronti degli arabi per l’assalto criminale dei militanti di Hamas alle popolazioni israeliane lungo il confine. Vogliono sterminarci tutti, dicono gli ebrei; vogliono sterminarci tutti, ribattono i palestinesi man mano che il massacro dei civili continua e viene considerata anche da chi è vicino a Israele un “crimine di guerra”.

È difficile pensare al dopo. Il premier israeliano scivola via e cerca di non rispondere quando gli viene chiesto se ha in mente a chi affidare la Striscia e la sua popolazione di rifugiati palestinesi. Ci vorranno mesi – ammette anche per guadagnare tempo e inventare un progetto – per eliminare Hamas, i suoi leader e militanti – sapendo bene che significa altri morti e forse una guerra che si estenderà all’intera regione. E forse oltre.

Palestinesi cercano corpi e sopravvissuti tra le macerie dopo gli attacchi aerei israeliani su Al Falouja nella città di Jabalia, nel nord di Gaza, 01 novembre 2023. Più di 8.500 palestinesi e almeno 1.400 israeliani sono stati uccisi, secondo l’IDF e l’autorità sanitaria palestinese, da quando i militanti di Hamas hanno lanciato un attacco contro Israele dalla Striscia di Gaza il 7 ottobre e le operazioni israeliane a Gaza e in Cisgiordania che ne sono seguite EPA/MOHAMMED SABER

Preoccupano le parole dello storico israeliano, Benny Morris. Scrive che il momento è giusto per colpire l’Iran e distruggere Hezbollah – anche se per eliminare il vasto arsenale dell’organizzazione con i suoi 150 mila missili puntati su Israele – va appiattito il Libano. Sembra essere d’accordo sull’idea anche il ministro della difesa israeliano Gallant che dopo il 7 ottobre aveva proposto di scatenare la furia militare israeliana sugli ayatollah di Teheran e sugli alleati degli sciiti iraniani. Potrebbe ancora succedere e ne è consapevole il presidente americano, che con la scusa di difendere Israele ha inviato una flotta massiccia nel Mediterraneo e nel Golfo arabo- persico.

Joe Biden ha anche un’altra paura e ne ha parlato più volte con Netanyahu. Riguarda la Cisgiordania, la fetta più estesa del territorio occupato da Israele, e i coloni ebrei oltranzisti che, giorno dopo giorno, minacciano i suoi abitanti sottomessi. Scappate, andate in Giordania, questa è la nostra terra, ripetono mentre bruciano orti e ulivi degli arabi. La lista delle vittime palestinesi – morti e feriti, grandi e piccoli – aumenta giorno dopo giorno. “Sarà per voi una nuova Nakba” – l’olocausto dei palestinesi – minacciano i coloni.

Trenta anni fa la soluzione al conflitto tra israeliani e palestinesi, due popoli che rivendicano la stessa terra, era sulla bocca di tutti. Un compromesso: Una parte agli israeliani (ebrei soprattutto), l’altra ai palestinesi. La linea verde, quella del vecchio armistizio, doveva essere il tracciato di partenza: buona parte della Cisgiordania occupata e la striscia di Gaza ai palestinesi con un piccolo piede arabo a Gerusalemme per segnare la loro capitale nella città rivendicata, conquistata storicamente dalle tre religioni monoteistiche. Ma gli accordi di Oslo non andarono avanti.

Domani? Ripartire da quelle per forgiare il futuro? Dopo quello che è accaduto in questo mese è impossibile, dicono in molti. Eppure, rispondono altri, la Germania, nonostante l’Olocausto, è oggi uno dei maggiori partner diplomatici ed economici di Israele.

La pace si fa con il nemico. È vero, ma è difficile pensare che oggi o domani, un esponente dell’Autorità Nazionale Palestinese possa presentarsi a Gaza e in cima alle rovine prodotte dalle bombe e ai missili israeliani chiedere ai palestinesi sopravvissuti di seguirlo in un processo di pace tutto da costruire.

Come è difficile pensare che un governo israeliano guidato da Netanyahu, da sempre contrario all’esistenza stessa di uno stato palestinese indipendente, possa essere sincero se costretto dalla comunità internazionale a sposare la two state solution. Il governo israeliano di oggi, dicono gli stessi israeliani che hanno manifestato per mesi contro Netanyahu, è il più religiosamente fanatico e di destra della storia. Per gli ideologi della destra sionista e per i coloni religiosi estremisti la terra che va dal Mediterraneo al fiume Giordano fu un regalo divino al popolo d’Israele. E così deve restare.

ll giornalista Meron Rapoport è co-fondatore del movimento israelo-palestinese A Land For All (precedentemente noto come Two States, One Homeland). Per loro si dovrebbe creare una confederazione con uno Stato israeliano indipendente e uno Stato palestinese indipendente. L’idea è riconoscere e accettare il fatto che due popoli vivono nello spazio tra il Giordano e il Mar Mediterraneo, ed entrambi vedono l’intero territorio come la loro patria.

Gli ebrei e i palestinesi che vivono in questa terra hanno diritto a uguali diritti civili e nazionali, e dunque due stati indipendenti – Israele e Palestina – nei confini del 1967: cioè quelli che esistevano prima della guerra dei “sei giorni” quando Israele conquistò la Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est e le alture del Golan.

Secondo i fautori del movimento, i due popoli dovrebbero avere libertà di movimento e di residenza in tutto il territorio per consentire “a tutti di realizzare la loro connessione
con l’intera terra”. Domani? Ci credono in pochi. Dopo domani? Un sogno.

Eric Salerno
Eric2sal@yahoo.com
X: @africexp

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