Africa ExPress
17 ottobre 2023
Durante il fine settimana in tutto il Maghreb si sono svolte manifestazioni in favore del popolo palestinese. Nella capitale algerina quasi duemila persone sono scese nelle strade, sventolando un grande cartello con la scritta: Nous donnerons notre vie pour toi Palestine (Daremo la nostra vita per te, Palestina).
Anche un migliaio di tunisini ha manifestato per sostenere la causa dei palestinesi. Dopo la preghiera del venerdì, centinaia di libici sono scesi in Piazza dei Martiri a Tripoli, per mostrare sostegno alla Palestina e denunciare i crimini di guerra e le atrocità commesse contro i civili di Gaza.
La più grande marcia di solidarietà si è però svolta domenica a Rabat. Decine di migliaia di cittadini, oltre a esprimere la loro solidarietà ai palestinesi, hanno chiesto al governo di rivedere la propria posizione a riguardo della normalizzazione delle relazioni tra il regno e Israele, della cooperazione militare ed economica.
Sebbene le relazioni tra Marocco e Israele siano messe a dura prova, il governo di Rabat non è pronto a porre fine alla normalizzazione, visto che lo Stato ebraico ha recentemente riconosciuto la sovranità del Regno sui territori occupati del Sahara occidentale. Tuttavia, secondo diversi specialisti, la grande manifestazione di domenica, ha messo le autorità marocchine in una posizione al quanto scomoda.
I mauritani, invece, hanno denunciato il “silenzio” occidentale con una marcia, apparentemente spontanea, guidata dalla polizia, partita dalla Grande Moschea Saudita di Nouakchott. La popolazione ha voluto così manifestare sostegno alla causa palestinese e denunciare secondo i manifestanti, il silenzio e l’inazione dei governi occidentali. “Ogni giorno vengono uccise centinaia di persone, le case vengono distrutte. Da 70 anni Israele colonizza e massacra i nostri fratelli palestinesi”, hanno puntualizzato alcuni manifestanti ai reporter di RFI.
Il governo sudafricano e il partito al potere, l’ANC (African Nationl Congress) si sono schierati subito con il popolo palestinese, chiedendo anche l’immediata cessazione delle ostilità. Entrambi dichiarano che i palestinesi sono vittime dell’apartheid come lo furono i sudafricani fino l 1994. ANC, in un comunicato pubblicato sabato, sostiene che la recrudescenza del conflitto è dovuta a Israele. A causa dell’occupazione illegale, della colonizzazione ininterrotta e dell’oppressione permanente dei palestinesi. ANC non ha fatto menzione di Hamas o degli abusi commessi contro i civili.
Dalla fine dell’apartheid, proprio per il trauma subito dalla popolazione sudafricana all’epoca del sistema segregazionista, Pretoria è sempre in prima linea nella lotta internazionale per la libertà e i diritti dei palestinesi. E, il 4 dicembre 1997, in occasione della giornata internazionale per la solidarietà con il popolo palestinese, l’allora presidente, Nelson Mandela, dichiarava: “Sappiamo che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”.
Non va dimenticato che nel 2001, alla Conferenza di Durban contro il razzismo, i Paesi africani e arabi hanno condannato la politica di Israele nei territori occupati. Nel 2009, Pretoria ha sostenuto la commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, presieduta dal giudice sudafricano Richard J. Goldstone, che ha accusato Israele di aver commesso crimini nella Striscia di Gaza durante la guerra del 2008-2009.
Infine, nel 2019, il ministro degli Esteri sudafricano, Lindiwe Sisulu, in seguito all’uccisione di 52 palestinesi durante manifestazioni per il trasferimento della rappresentanza diplomatica statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, ha ridotto all’osso l’ambasciata sudafricana in Israele. Da allora l’ambasciata è un semplice ufficio di collegamento, senza alcun mandato politico o commerciale e nel luglio 2022, il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha chiesto alle Nazioni Unite di dichiarare Israele uno “Stato di apartheid”.
E non va dimenticato che durante la cerimonia d’apertura della 36esima sessione dell’Unione Africana, tenutasi a Addis Abeba lo scorso febbraio, per un pasticcio amministrativo diplomatico è stato allontanato il rappresentante dello Stato ebraico. Malgrado le divergenze sulla questione palestinese, il Sudafrica è il più grande partner commerciale di Israele in Africa.
Ma non tutti i Paesi del continente sono allineati con i palestinesi. Kenya, Zambia, Ghana, Congo-K e altri sostengono la posizione di Israele.
La risposta è molto semplice. Secondo gli esperti, le divisioni in Africa evidenziano il tentativo di ogni governo di difendere i propri interessi e sottolineano contemporaneamente il rafforzamento delle relazioni di alcuni Paesi con Israele. Da un lato ci sono dunque i legami radicati con il movimento palestinese; dall’altro, ci sono le alettanti offerte di tecnologia all’avanguardia, assistenza militare e aiuti da parte dello Stato ebraico.
Dopo la guerra del 1973, solo poche nazioni africane avevano mantenuto rapporti diplomatici con Israele. Oggi, però, la situazione è radicalmente cambiata: 44 dei 54 Paesi africani riconoscono la Stato di Israele e quasi 30 hanno aperto ambasciate o consolati nel Paese.
Proprio a causa della crescente siccità e i cambiamenti climatici, molti governi africani sono interessati alle tecnologie agricole, cui lo Stato ebraico è leader mondiale. Ma non solo agricoltura, anche interessi commerciali e di sicurezza hanno fatto sì che molti Paesi africani si siano avvicinati a Israele.
Tuttavia, lo stato ebraico ha forti legami con diverse nazioni al di là del commercio. Per decenni l’Etiopia ha ricevuto milioni di dollari in aiuti umanitari e migliaia di falasha, gli ebrei etiopici, sono stati portati in Israele.
La sua agenzia per gli aiuti internazionali, Mahav, ha formato studenti kenioti in agricoltura e medicina e imprenditori senegalesi in management.
Secondo alcune fonti l’esercito israeliano starebbe attualmente addestrando in Camerun, i militari appartenenti al corpo scelto BIR (Brigata di Reazione Rapida) che prende ordini direttamente dal presidente Paul Biya. Ma secondo alcuni media israeliani, sembra che le forze di Tel Aviv siano presenti anche in altri Paesi del continente per la formazione di soldati.
Le diverse, a volte contrastanti posizioni dei Paesi del continente non dovrebbero meravigliarci più di tanto e, come ha ricordato Tighisti Amare, vice direttore del Programma Africa, presso il think tank londinese Chatham House: “Un terzo dei governi africani ha scelto di restare neutrale in occasione del voto della Nazioni Unite che condannava l’invasione russa in Ucraina”.
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