Federica Iezzi
16 ottobre 2023
Sei mesi di duri combattimenti tra le l’esercito sudanese (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), in Sudan, sono scivolati dalla porta posteriore, come ogni conflitto dimenticato.
I numeri non sono rassicuranti. Il Ministero della Sanità sudanese riferisce che almeno 7.000 persone sono state uccise e migliaia sono i feriti, mentre Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari umanitari dell’ONU, valuta il numero dei morti oltre 9.000.
Oltre 3 milioni di sfollati interni si sono riversati negli stati di River Nile, South Darfur, East Darfur, Al-Jazirah, North Darfur. Secondo i dati dell’UNHCR, circa 1,1 milioni di persone hanno attraversato il confine con Repubblica Centrafricana, Chad, Egitto, Etiopia e Sud Sudan, unendosi a comunità già vulnerabili.
Secondo quanto dichiarato da UNICEF e Save the Children, circa 19 milioni di bambini non vanno più a scuola a causa del conflitto, con almeno 10.400 scuole chiuse nelle aree maggiormente colpite.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha accertato 58 attacchi al sistema sanitario nazionale. L’interruzione totale o parziale dei servizi sanitari continua ad avere un impatto devastante sulla sopravvivenza sia alle patologie acute sia a quelle croniche. Oltre il 70 per cento delle strutture sanitarie negli Stati, pesantemente colpiti dal conflitto, non sono funzionanti, il che si traduce in un accesso estremamente limitato, e talvolta inesistente, all’assistenza sanitaria primaria per milioni di persone.
Accanto a epidemie di morbillo, malaria e febbre dengue, almeno 800 casi sospetti di colera, inclusi 35 decessi, sono stati segnalati negli stati di Gedaref, Sud Kordofan e Khartoum.
Secondo le valutazioni del World Food Programme (WFP) oltre 6 milioni di persone sono sull’orlo della carestia e più di 20 milioni, il 42 per cento della popolazione, si trovano ad affrontare una grave insicurezza alimentare. 4,6 milioni di bambini e donne incinte o in allattamento soffrono di malnutrizione acuta.
Oltre al conflitto, l’aumento dei prezzi di cibo e carburante, la crisi economica pre-esistente, gli sfollamenti prolungati, gli scarsi raccolti e i gravi cambiamenti climatici, come inondazioni e siccità, alimentano l’insicurezza alimentare. L’inflazione continua a ridurre il potere d’acquisto delle famiglie, rendendo le persone incapaci di soddisfare i propri bisogni di base. Circa l’85 per cento delle famiglie sudanesi spende più del 65 per cento del proprio reddito totale in cibo. Gli Stati che si prevede vedranno i più alti livelli di insicurezza alimentare nei prossimi tre-sei mesi sono Darfur, Kordofan e Khartoum.
L’intensificarsi delle ostilità, la crescente insicurezza e la mancanza di impegno da parte delle parti in conflitto continua ad ostacolare l’accesso umanitario e la consegna trasversale di aiuti in aree difficili da raggiungere come Khartoum, Darfur e Kordofan.
In particolare, nella regione occidentale del Darfur, teatro di una campagna genocida nei primi anni 2000, il conflitto si è trasformato in violenza etnica, alimentando un ciclo dalle medesime modalità del passato, con i feroci scontri delle RSF, che erano doti come janjaweed, e delle milizie arabe alleate, contro gruppi non arabi.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
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