EDITORIALE
Eric Salerno
14 ottobre 2023
Cosa è la “Striscia di Gaza”? Spesso nemmeno con una carta geografica, di quelli che si possono trovare facilmente su Google, con tanto di negozi e ristoranti, stazioni di rifornimento e altro, è possibile capire la dimensione del luogo che aerei e missili israeliani stanno radendo al suolo. Numerosi sono i lettori di giornali o chi segue la televisione che non si rendono conto dello spazio geografico in cui israeliani e palestinesi si confrontano, si combattono. E si massacrano.
La striscia è una regione costiera di 360 km², popolata da oltre due milioni e quattrocentomila arabi, dei quali un milione trecentomila sono rifugiati palestinesi, che vivono in mezzo ai pochi autoctoni arrivati durante la guerra del 1948 per la creazione dello stato d’Israele. Furono costretti, allora, a lasciare le loro case, le terre che coltivavano nel territorio su cui oggi, non molto distante, sempre sulle rive del Mediterraneo, a pochi chilometri da Gaza, poco più a sud di Tel Aviv, ci sono, tra l’altro, le moderne città di Aschelon e Ashdod.
“Hamas, con mio grande rammarico, è la creazione di Israele” disse nel 2009 al Wall Street Journal Avner Cohen, un ex funzionario israeliano per gli affari religiosi che aveva lavorato a Gaza per più di due decenni. A metà degli anni 80, Cohen scrisse un rapporto ai suoi superiori avvertendoli di non giocare al divide et impera nei territori occupati, sostenendo gli islamisti palestinesi contro i laici palestinesi: “…suggerisco di concentrare i nostri sforzi sulla ricerca di modi per spezzare questo mostro prima che questa realtà ci esploda in faccia”, le sue parole.
Si riferiva ad Hamas e alla politica di tutti i governi israeliani e dei servizi segreti che avevano finanziato alcuni elementi radicali vicini ai Fratelli musulmani egiziani, che già allora erano, se vogliamo, molto più legati alle teorie dell’Isis e di Bin Laden che ai laici, cristiani o musulmani moderati del mondo palestinese. Dall’Olp di Yasser Arafat a Nayef Hawatmeh, al Fronte democratico per la liberazione della Palestina.
Come spesso succede, la mancanza della possibilità di riunirsi – comizi in luoghi chiusi o all’aperto – dà un grande vantaggio alle formazioni religiose; nel caso specifico, alle moschee. Un alto ufficiale israeliano, che voleva far capire alla stampa come stava guadagnando spazio e potere Hamas, mi disse alle fine degli anni Ottanta che oltre alle moschee e alle scuole coraniche i fondamentalisti usavano anche il loro servizio sanitario per indottrinare la popolazione della Striscia, già allora molto giovane e staccata dal resto del mondo palestinese concentrato a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nella diaspora.
Oggi la metà della popolazione di Gaza ha meno di diciotto anni. Sono nati e cresciuti nel ghetto della Striscia. Pochi, prima di questa e di molte guerre, potevano andare in Israele per cercare lavoro. Pochi erano autorizzati a raggiungere Gerusalemme Est o i territori occupati della Cisgiordania. Muri e reticolati circondano la striscia isolandola da Israele.
Il Mediterraneo è un’altra frontiera invalicabile: i pescatori possono uscire al massimo per una distanza di pochi chilometri dalla riva. I bagnanti non devono allontanarsi dal bagnasciuga. A sud c’è l’Egitto, che apre e chiude la frontiera quando vuole, e cerca di distruggere i tunnel attraverso i quali molti palestinesi tentano di espatriare. O far arrivare armi come quelle usate in questo attacco a sorpresa contro Israele.
Fino all’agosto del 2005, la Striscia di Gaza era praticamente un territorio occupato. Quasi diecimila soldati vi stazionavano in modo permanente insieme a più o meno lo stesso numero di coloni israeliani che coltivavano i loro insediamenti, gestivano in parte la pesca e altre industrie.
Con gli accordi di pace di Oslo fu presa la decisione di avviare il processo di pace consegnando Gerico e la città di Gaza ad Arafat e all’Autorità nazionale palestinese. Nel 2004 era primo ministro israeliano Ariel Sharon, e propose un piano di disimpegno unilaterale da Gaza. Arafat era morto e il nuovo presidente palestinese Abu Mazen era pronto a prendere possesso del territorio in riva al mare, ma Sharon disse di no. E nel mese di agosto 2005 praticamente consegnò il territorio ad Hamas.
Da allora i leader israeliani, Netanyahu in primo piano, sostengono che con due governi palestinesi la pace è impossibile. Avrebbe potuto facilitare la caduta degli integralisti ma ha preferito, tra piccole e medie guerre, farsi aiutare da una parte del mondo, arabo e non solo, per mantenere Hamas al potere ed evitare la creazione di uno stato palestinese accanto a Israele.
Quando Gaza era ancora occupata, le giovani reclute israeliane venivano mandate nella striscia per il loro prima addestramento in mezzo al nemico. “Ci odieranno per sempre. L’ho visto nei loro occhi”, mi disse allora un ragazzo israeliano di diciotto anni. Era appena tornato da Gaza. La sua pattuglia era entrata in una modesta casa per un controllo, una esercitazione. “Ho visto gli occhi dei giovani palestinesi come me, anche più piccoli. Erano carichi di odio. Non dimenticheranno mai quello che stiamo facendo”.
Eric Salerno
Eric2sal@yahoo.com
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