Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
Lampedusa, 4 ottobre 2023
Le tensioni continuano ad aumentare sulle coste del Mediterraneo e non cessa l’eterna questione della gestione dei flussi migratori in Europa. La migrazione è diventata lo strumento di tutti gli eccessi politici esterofobi che oggi sono parte integrante nel dibattito pubblico. Spesso la lettura di coloro che fuggono dal proprio Paese si traduce in una tendenza volta a limitare i diritti basilari. È questo l’approccio giusto? In ogni caso, non è il più umano.
Aboubakar Soumahoro, è arrivato in Italia come migrante ed ora è diventato deputato della Repubblica Italiana. Volentieri ha concesso questa intervista ad Africa Express.
La voce di chi viene ascoltato può spostare l’opinione pubblica. E le parole si capillarizzano nelle case, nelle scuole, nelle aule di tribunale. Il problema è che la migrazione è stata sempre vista come crisi, invece è la più alta forma di adattamento. E allora chi è veramente un migrante?
La migrazione è nella natura dell’essere umano. Migrare è un diritto, ma anche restare è un diritto. Spetta all’attività politica e a quella legislativa, costruire il tessuto sociale, tale da garantire la salvaguardia della vita dei migranti, e creare condizioni dignitose per chi vuole restare, senza che la permanenza diventi un’imposizione, una costrizione, una dannazione.
Migrare fa parte dei diritti inalienabili dell’essere umano, come l’atto di rimanere. E le sfide che sono alla base di determinati processi migratori e che dovrebbero interrogare la comunità umana, sono sfide che partono dalla crisi climatica, dalle disuguaglianze economiche, dall’iniqua redistribuzione di ricchezze e di profitto.
Se osserviamo i dati macroeconomici, mettendo a confronto alcune aree geografiche, come lo spazio Euro e quello dell’Africa sub-sahariana, è evidente come la crescita dell’Africa sub-sahariana, in termini di prospettiva macroeconomica, sia superiore.
Ma sul piano della redistribuzione qualitativa ci sono enormi disuguaglianze, che dovrebbero interrogare la classe politica. Le discussioni sulle sfide globali ci dicono che se non facciamo fronte comune, in termini di creazione di opportunità, anziché riuscire ad accompagnare, ad indirizzare i Paesi africani, si creeranno situazioni che travolgeranno un tessuto giuridico-legislativo lontano dalla realtà. Ed è quello che sta emergendo da alcune scelte politiche inadeguate e irrealistiche, sia sul piano europeo, sia sul piano italiano.
Quali effetti hanno prodotto gli accordi e i pacchetti finanziari offerti dall’Unione Europea per gestire la migrazione con partner come la Libia o la Tunisia? Sono scelte politiche che hanno un senso, che siano razionali?
Innanzitutto sono accordi in violazione dei principi basilari della dichiarazione universale dei diritti umani. Se davvero questa dichiarazione è carne viva della nostra vita quotidiana, l’atto di legiferazione non può non tener conto dell’esistenza stessa di questi principi, sia sul piano europeo, sia su quello italiano. Per non parlare di quanto riportato sull’articolo 10 della nostra Carta Costituzionale.
Qui si sta parlando di violazioni sistemiche, piegando le regole di vita a una volontà di orientamento politico, che non solo è irrealizzabile ma che, oltretutto, trasforma la vita delle persone in una sorta di oggetto di scambio.
L’accordo firmato tra il nostro Paese e la Libia è un esempio di come la salvaguardia della vita dell’essere umano viene messa in secondo piano. Stesso concetto vale per il memorandum firmato tra Unione Europea e Tunisia. Tutto questo fa parte di una visione politica che pone in cima una deriva propagandistica, che tende a trasformare i processi migratori in merce elettorale.
Basta parlare con i migranti, che sono accolti nell’hotspot di Lampedusa, per capire cosa sta succedendo oggi in Libia o Tunisia, nei confronti di chi proviene dall’Africa sub-sahariana. Sono evidenti le violenze subite. Allora, noi che stiamo facendo? Stiamo sottoscrivendo accordi con Paesi che hanno ampiamente dimostrato di non tutelare la vita delle persone.
Quindi entrando nel contesto della prossima scadenza elettorale, il clima ruota attorno all’alimentare e al fermentare una sorta di mercato elettorale, che si basa sullo stare a guardare i migranti obbligati ad affrontare il mare, anziché creare canali di ingresso, attraverso il rafforzamento della rete consolare.
Bisogna avere una certa lungimiranza. E’ necessario analizzare la situazione, parlando con gli operatori che si trovano a diretto contatto con i migranti, che non solo sbarcano nel nostro Paese, ma sbarcano in Europa. Quale tipo di percorso noi possiamo creare con i Paesi africani, in termini di partenariato?
Leggendo i punti presentati dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in occasione della sua recente visita a Lampedusa, sembrerebbe che il concetto di migrazione e le eventuali soluzioni non siano state affatto messe a fuoco.
Qual è la sua opinione?
Siamo di fronte ad un fenomeno globale e affrontarlo con un approccio propagandistico, condito da un certo sentimento afro-fobico, o con una dimensione paternalista non aiuta. Alla luce dei fatti, i vari protagonisti politici, che si sono alternati in Italia negli ultimi anni, hanno dimostrato tutti i loro limiti, quando si parla di processi migratori.
E allora bisognerebbe fermarsi e chiedersi come creare delle opportunità, come costruire vie o proporre soluzioni concrete, attorno ad un fenomeno diventato così globale.
Se oggi lottiamo contro i canali di ingresso, attraverso quelle cosiddette “vie della morte”, perché nello stesso modo non costruiamo le basi e le premesse per il rafforzamento di canali diplomatici? Il tutto attraverso una prospettiva europea che possa permettere alle persone di viaggiare con l’utilizzo di reti consolari, rilascio di visti di ingresso. Oggi questa possibilità di movimento cambia a seconda del colore del passaporto.
E invece si sceglie la strada del potenziamento e rafforzamento dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). Che è un fallimento totale. Sono strutture che nascono nel lontano 1998, cambiando denominazione e configurazione.
Fino agli ultimi giorni, con i famosi 5.000 euro barattati con la libertà. Sono tutte direttive che dimostrano il fallimento di una prospettiva. Se una persona viene rinchiusa in questi luoghi e non si ha il nulla osta del Paese di origine, vuol dire che quella stessa persona non verrà mai messa su un aereo per essere rimpatriata.
Quindi si ritorna al tema di costruire percorsi di condivisione, attraverso il coinvolgimento diretto dei Paesi di origine. E allora quali percorsi si possono costruire con chi migra? E ancora quali percorsi si possono costruire con la diaspora italiana afro-discendente e con la diaspora migrante presente nel nostro Paese? Sono tutti protagonisti che possono portare all’individuazione di percorsi.
Ma è chiaro che un approccio di questo tipo non genera profitto sul piano elettorale. Avere più seggi in Parlamento, vincere un’elezione sulla base di progetti irrealistici e fallimentari, vuol dire che non esiste né l’idea né la volontà di lanciare un messaggio chiaro che possa lasciare tracce tangibili. Parliamo semplicemente di consenso, che non porta a nessun cambiamento di fatto.
Il dovere di soccorrere le persone in pericolo in mare, senza ritardi, è una regola basilare del diritto marittimo internazionale. Da anni sulla rotta migratoria del Mediterraneo si gioca ad una roulette russa con la vita. Cosa non manca? Lacune nell’attività di ricerca e soccorso e garanzia di canali migratori regolari e sicuri. Come far virare questa realtà?
Bisogna costruire la prospettiva di un piano, che abbia come premessa la condivisione di un destino comune, dando risposte concrete alle persone e considerando la prossimità tra Europa e Africa.
Una proposta è sicuramente quella di rivedere il Regolamento di Dublino. Non nascondendosi dietro ai vari nazionalismi, che giocano sulla parola sovranità. La mia sovranità vale a discapito della sovranità altrui, come ha scelto l’attuale governo.
E no, sovranità vuol dire sovranità in termini di condivisione, di solidarietà. Come si vuole costruire questa prospettiva in Europa? La si vuole costruire a prescindere dal rapporto con i Paesi africani? Mentre si dice “non vogliamo un’altra colonizzazione”, di fatto prepariamo un piano per i Paesi africani, senza coinvolgere nessuno di loro. Bisogna saper legger la complessità all’interno del Paese stesso.
Altra proposta tangibile riguarda il tema del tipo di partenariato che si vuole costruire con i Paesi africani. Quale tipo di approccio si vuole avanzare? Diventa, dunque, fondamentale il coinvolgimento della diaspora afro-discendente italiana, che continua a chiedere di rafforzare il legame con l’Africa, non rimanendo spettatori e osservatori passivi. Questo significa trasformare il futuro in un speranza.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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Il gentiluomo non fa onore a sé stesso né può agevolare la causa degli immigrati che asserisce di voler tutelare, magari con l'occasione arricchendosi. Farebbe meglio a tacere e a godersi il benessere che gli è piovuto addosso.
Te devi vergognare, visto che stai parlando di una cosa che non hai palle idea. Faresti bene tu a tacere… prima sparare cazzate leggi e ascolti bene studi bene le accuse prima di giudicare…