A Lampedusa tra i migranti privati di tutto, anche della loro identità

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Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
Lampedusa, 18 settembre 2023

A soli 187 chilometri dalla costa della Tunisia, Lampedusa è il primo passo sull’Europa. Con un disperato via vai, le autorità continuano a spostare i migranti dentro e fuori la struttura temporanea sull’isola, originariamente progettata per ospitare diverse centinaia di persone, ma che spesso ne accoglie alcune migliaia.

Photo credit – SOS Humanity

Mentre il sole picchia tutto il giorno sulle viuzze e sulle case dai tetti colorati, passano, tra i ristoranti affollati di turisti, autobus pieni di migranti diretti verso i traghetti per la Sicilia. Questo balletto è quotidiano sulla piccola isola. Partono dal centro di accoglienza costruito lontano dagli occhi. Ha una sola strada, arida e remota, che termina in una valle senza uscita. I percorsi che portano alla spiaggia sono altrove.

Gli arrivi non sono stati rallentati dall’immorale accordo anti-migranti che l’Unione Europea ha siglato con la Tunisia. La strategia è quella di rendere gli aiuti economici condizionali alla gestione dei flussi migratori. Crescono le gravi violazioni dei diritti umani subite dai migranti e richiedenti asilo di origine sub-sahariana, a partire dalle pratiche violente della guardia costiera tunisina per finire alla campagna mediatica che sta diffondendo in Tunisia una retorica sovranista e intollerante, avvolta da una discriminazione istituzionale.

Dunque niente è cambiato. Si continuano a riversare risorse e sforzi nei programmi di controllo delle frontiere come Frontex (European Border and Coast Guard Agency), European Integrated Border Management ed Eurosur (European Border Surveillance system).

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), nel 2023 sono già più di 113.000 i migranti arrivati in Italia via mare e oltre 2.000 i deceduti nel tentativo di raggiungere l’Europa. Di questi, almeno 73.000 partono proprio dagli hubs tunisini. E dagli ultimi aggiornamenti della Croce Rossa Italiana, si aggiungono gli almeno 7.000 migranti che la scorsa settimana, in meno di 48 ore, hanno raggiunto l’isola, quasi tutti partiti dalla Tunisia.

Lampedusa è diventata una zona ultramilitarizzata dove i migranti vengono parcheggiati in un campo.
L’esercito vigila e controlla. Ai volontari che lasciano il campo non è permesso parlare, altrimenti viene revocato il diritto di ingresso alle organizzazioni di appartenenza.

Riescono a trapelare pochi particolari: “E’ invivibile. Ci sono più di 4.000 persone in un campo che dovrebbe contenerne 300”.

Lampedusa conta circa 6.000 abitanti, il coro che si leva all’unanimità non è mai cambiato negli anni: “Queste persone vengono qui e noi le rinchiudiamo. Sono in arresto. Non possiamo più parlare con loro, perché sono diventati numeri”.

Dopo aver esaurito gli argomenti emotivamente e politicamente rilevanti, nessuno si sofferma sulla complessa situazione che caratterizza i luoghi di frontiera, al di là dei periodi di emergenza. Nessuno analizza cosa attende i sopravvissuti alla traversata del Mediterraneo, una volta entrati nel sistema amministrativo che regola la loro permanenza e la loro futura partenza verso un’altra struttura di accoglienza o trattenimento, o addirittura verso il Paese di origine.

Questa situazione teoricamente eccezionale è diventata ordinaria ed è accompagnata da pratiche altrettanto ambigue. Il laissez-faire della polizia che consente ai migranti di uscire dal centro. I tempi amministrativi nel trattamento delle pratiche che regolarmente superano la durata massima di permanenza nel centro stesso. L’eccezionalità delle misure di confinamento amministrativo, in assenza di reato, nei luoghi di confine, che diventa emblematica per la mobilità ostacolata.

Questa politica è omicida e lo si testa ogni volta che i migranti vengono trasferiti dal centro di accoglienza al traghetto che li porta in Sicilia. Stipati, senza identità, spogliati dei loro stessi occhi. Con le labbra cucite in un silenzio senza rimedio. Migliaia di uomini e donne cui è negata la mobilità e che cercano di sopravvivere alle conseguenze della migrazione e delle politiche di asilo basate sul rifiuto. Rimane solo una linea bianca di spuma che la nave si lascia dietro, sul liscio mare azzurro scuro.

Il governo italiano dice che ci sono meno morti nel Mediterraneo, non è vero, perché il Mediterraneo non lo controlla più nessuno.

Di Lampedusa i politici parlano come di un’arena dove fare la guerra contro i migranti. Mai riusciti a impedire le partenze disperate dalle coste libiche e tunisine, hanno invece alimentato sentimenti discriminatori, mettendo da parte una narrativa umanitaria protagonista di un passato lontano.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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