Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
16 settembre 2023
Guerra continua in Sudan. Giovedì scorso il capo delle Rapid Support Forces (nuovo nome dei janjaweed), Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti ha minacciato di varare un governo nelle aree controllate dalle sue milizie, se il nemico, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, presidente del Consiglio Sovrano (cioè di fatto presidente della Repubblica) dovesse a sua volta formare un nuovo esecutivo. Il mese scorso il generale Burhan aveva annunciato la necessità di un regime provvisorio da insediare a Port Sudan, sul Mar Rosso.
“Se l’esercito dovesse formare un governo, avvieremo immediatamente ampie consultazioni per istituire una vera autorità civile nelle aree sotto nostro ampio controllo, con capitale Khartoum”, ha annunciato Hemetti, blandendo la società civile. Ha poi aggiunto che qualsiasi mossa da parte dell’esercito in questo senso, dividerebbe il Paese.
Nei giorni scorsi l’esercito sudanese ha lanciato nuove offensive aeree sulla capitale e dintorni. E’ stato colpito anche il mercato del bestiame Hilet Kuku di Khartoum nord. L’attacco era mirato contro i paramilitari di RSF, ma come spesso accade, sono morti solamente civili. Almeno 46 le vittime, oltre a numerosi feriti. Altri droni si sono abbattuti anche sul ponte Shambat che collega Khartoum con Bahri, il terzo agglomerato urbano della capitale.
Sin dall’inizio della guerra molti residenti sono scappati dalla città. A tutt’oggi manca all’appello almeno la metà dei suoi abitanti, in fuga terrorizzati e disperati per le violenze. La mancanza di cibo, acqua, corrente elettrica e dei servizi di base, causati dai continui combattimenti e bombardamenti indiscriminati.
Giovedì scorso l’esercito ha colpito pesantemente anche Nyala, città nel Darfur meridionale.
“Le parti in causa utilizzano armi pesanti in aree densamente popolate, con conseguenze devastanti per la popolazione. Entrambi “prendono deliberatamente di mira aree popolate, strutture civili, ospedali e luoghi di culto”, ha spiegato Mohamed Salah di Emergency Lawyers (gruppo di avvocati locali che monitora e segue tutte le violazioni dei diritti umani in Sudan).
Nel luglio 2023, la Corte penale internazionale ha aperto un’indagine sui crimini commessi in Darfur, dove continua la pulizia etnica su grande scala da parte dei paramilitari golpisti della Rapid Support Forces.
In Darfur, dove sono cresciuti e si sono sviluppati e si chiamavano janjaweed prima di essere integrati nella RSF per ripulirne l’immagine, continuano a attaccare i villaggi delle etnie africane. Tra questi i masalit, popolazione musulmana sì, ma non araba, che vive a cavallo tra Sudan e Ciad. Si pensi solo che la loro lingua è scritta in caratteri latini e non arabi.
A questo punto va ricordato che nel 2016, come riportato da Africa ExPress, i paramilitari di RSF sono stati finanziati dall’Unione Europea per controllare i confini sudanesi e arginare così il flusso migratorio verso il Mediterraneo. Nel 2022 sono strati addestrati da istruttori italiani.
I janjaweed hanno ricevuto aiuti logistici e militari anche dalla Russia. Dagalo, infatti, ha concesso ai mercenari del gruppo Wagner, lo sfruttamento di miniere d’oro nel nord del Paese. Gli Italiani, dal canto loro, li hanno addestrati e finanziati come ha rivelato Africa ExPress, pubblicando un video in cui Dagalo conferma l’aiuto italiano e ringrazia l’Italia. Quindi, italiani e russi assieme a insegnare ai tagliagole a far la guerra seriamente.
Il Darfur è completamente isolato da internet e telefono. Le gente, per dare le proprie notizie a parenti e amici, è stata costretta a tornare ai messaggi manoscritti affidati agli autisti dei taxi collettivi Ma a volte tali lettere impiegano anche oltre una settimana per arrivare a destinazione, sempre che il destinatario sia ancora in vita.
Secondo ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project), dall’inizio della guerra sarebbero morte 7.825 persone. Tuttavia, proprio per l’estrema violenza del conflitto e del limitato accesso in certe aeree, la mancanza di comunicazione, cercare di calcolare il numero esatto di vittime umane è quasi impossibile. Tanti ospedali sono ormai chiusi, altri lavorano sotto regime, per mancanza di personale sanitario, medicinali e quant’altro.
In continuo aumento anche gli sfollati. In base all’ultimo rapporto di ACLED, a tutt’oggi sarebbero 4,1 milioni, mentre, secondo OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) oltre 1,1 milione di sudanesi avrebbero cercato protezione nei Paesi limitrofi, tra cui i poverissimi e afflitti anch’essi da enormi problemi interni, come Ciad, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan.
Con l’inizio della stagione delle piogge, la situazione sanitaria sta peggiorando. Con il ridotto accesso all’acqua e ai sistemi igienico-sanitari, si rischia l’insorgere di malattie su larga scala, come malaria, morbillo, dengue e diarrea acquosa acuta.
Quasi la metà della popolazione sudanese necessita di aiuti umanitari, mentre sono oltre 3 milioni i bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione acuta. Oltre 650mila tra questi in forma grave.
Volker Perthes, inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sudan, ha presentato le sue dimissioni al Consiglio di Sicurezza mercoledì scorso, probabilmente perché messo sotto pressione dal regime sudanese. Infatti Khartoum aveva dichiarato Perthes “persona non grata” già lo scorso giugno.
Nel suo ultimo rapporto, il diplomatico dell’ONU ha precisato: “Quello che è iniziato come un conflitto tra due formazioni militari potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra civile, i combattimenti non stanno diminuendo e nessuna delle due parti sembra vicina a una vittoria militare decisiva”. E infine ha condannato bombardamenti aerei indiscriminati dell’esercito sudanese, violenze sessuali e saccheggi dei soldati.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
Twitter: @cotoelgyes
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