EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
31 agosto 2023
Quando chiesi a Libreville al padre di Ali Bongo, Omar, oltre 40 anni al potere con elezioni truccate, se il processo elettorale che si era concluso da poco e che l’aveva visto al solito trionfare, fosse stato corretto, cioè libero e democratico, rispose candidamente che lui non barava e che si comportava sempre onestamente. Peccato che avesse appena chiuso l’aeroporto per impedire che il capo dell’opposizione potesse rientrare dall’esilio e registrare la sua candidatura alle elezioni presidenziali. “Vedi – mi disse sornionamente – io sono democratico. Lui è arrivato tardi. Non è colpa mia”! Dal che ne ricavai che il suo insegnamento era quindi così traducibile: “I brogli si fanno prima, non nell’urna”.
Purtroppo, non sarebbe la prima volta che in Africa un colpo di Stato apparente organizzato “per liberare” si trasforma velocemente in una tagliola dove imprigionare le popolazioni e impadronirsi delle risorse. Al solito come giustificazione dei putsch vengono portate accuse di alto tradimento e di corruzione avanzate dei nuovi padroni ai vecchi satrapi.
Lumumba e Sankara
Due esempi possono essere utili per spiegare come sia difficile modificare gli assetti di potere in Africa: Patrice Lumumba, in Congo, e Thomas Sankara, in Alto Volta (ora Burkina Faso). Il primo è stato ammazzato dall’ex potenza coloniale, il Belgio, cui voleva sottrarre ricchezze minerarie rivendicandone il possesso al suo Paese; il secondo strangolato dal suo vice e migliore amico Blaise Campaore, secondo cui era meglio permettere alla Francia di continuare sfruttare le risorse in cambio di prebende per i suoi servizi. Entrambi visionari i due leader si sono scontrati con la realtà e sono stati fatti fuori. Diversi gli attori, uguali gli interessi.
E’ complicato analizzare a fondo gli avvenimenti di questi ultimi due anni nelle ex colonie francesi in Africa. Le responsabilità dell’Occidente sono chiare e quasi tangibili. Prima tra tutte non aver voluto creare al momento della decolonizzazione una classe dirigente democratica in grado di occuparsi del benessere delle proprie popolazioni senza badare agli interessi coloniali (e agli interessi personali).
Rivoluzionari affaristi
Ma non sono solo queste le cause ad aver provocato il disastro. Ci si sono messi di mezzo anche i rivoluzionari a parole, affaristi nei fatti. Leader africani disposti di buon grado a farsi corrompere per sostenere le ragioni di chi è fuori dai confini del continente.
Pensiamo per esempio all’Eritrea che si è affrancata dalla tutela Occidentale. Ma a che prezzo. Il Paese è in miseria, militarizzato, la libertà è considerata superflua. Tutto è in mano a una cerchia ristretta di burocrati guidati da un dittatore sanguinario che non tollera il dissenso. Però è un Paese che si vanta di essere libero. Ne vale la pena vivere così in un Paese libero?
Notizie false
Disgraziatamente il ruolo che ha assunto la propaganda nel mondo dell’informazione è talmente asfissiante che è difficile destreggiarsi tra notizie vere, false e tendenziose. La guerra – si dirà – è stata sempre così. Ma noi facciamo fatica ad abituarci e soprattutto non accettiamo il concetto che tende ad essere sposato acriticamente che ci siano i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.
La geopolitica non è una scienza esatta – è bene ricordarlo – e in Africa è più inesatta che altrove.
Il golpe del 30 agosto in Gabon coinvolge una famiglia di regnanti senza titolo. Tutti implicati nel saccheggio delle risorse: dal satrapo Ali Bongo, che ha ereditato l’incarico di presidente del Padre padrone Omar al potere del 1966 al 2009, a suo cugino e leader dei golpisti il generale Brice Oligui Nguema, capo della guardia pretoriana del regime e cervello dell’apparato di sicurezza della dittatura. Il suo compito era uno solo: il mantenimento del regime. In questa veste è diventato uno degli aiutanti di campo di Omar Bongo carica che ha ricoperto fino alla sua morte del dittatore, avvenuta nel giugno 2009.
Allontanato in esilio
Alla morte del leader, sale al potere Ali Bongo che allontana il cugino dai posti di comando. Brice Clothaire Oligui Nguema viene così spedito in una sorta di esilio al servizio diplomatico per circa dieci anni. Prima addetto militare presso l’ambasciata gabonese in Marocco e poi in Senegal.
Nell’ottobre 2018 quando Ali Bongo è colpito da un ictus a Riyadh, in Arabia Saudita, Brice Clothaire Oligui Nguema, con il grado di colonnello, viene richiamato in Gabon, dove prende il posto di un altro colonnello, il fratellastro di Ali, Frédéric Bongo, come capo del servizio di intelligence della Guardia Repubblicana, la Direzione Generale dei Servizi Speciali (DGSS), che porta da una trentina a oltre 300 membri (con quasi 100 tiratori scelti), dotandola di attrezzature all’avanguardia e componendo persino una canzone per essa. Con un testo ambizioso: “Difenderò il mio presidente con onore e lealtà”.
Poco tempo dopo Brice Clothaire Oligui Nguema viene di nuovo promosso, ma questa volta a capo di tutte le sezioni della Guardia Repubblicana, dove sostituisce il generale Grégoire Kouna. Avvia riforme strutturali per renderla più efficace nella sua missione fondamentale: il mantenimento del regime.
Golose del lusso
Ma l’epopea Bongo è piena di parenti ai posti in prima fila: il figlio Noureddin, il delfino di Ali, il fratellastro Frédéric, e ovviamente presenti nella saga anche i personaggi femminili. Dalla Premier Dame, Sylvia moglie di Ali, alla sorellastra Pascaline tutti golose del lusso, della bella vita e del denaro. Paperoni che si arricchiscono rapinando a dismisura il loro Paese e condannando la loro popolazione alla fame e alla disperazione.
Un ruolo tocca anche agli israeliani, discretamente presenti nella guardia presidenziale. Troppo vicini al generale Nguema. Vegliano con innegabile professionalità sulla sicurezza del palazzo presidenziale. Noureddin prova ad allontanarli ma senza successo.
Ma Brice Clothaire Oligui Nguema, autore di sparizioni, esecuzioni sommarie, torturatore e responsabile di repressione e massacri è anche un uomo pio. Che impressione averlo visto ieri dopo la presa del potere farsi il segno della croce in televisione!
Bugie distillate
Nguema, fino al 30 agosto, ha coperto con indubbio zelo le bugie distillate dal regime sulle condizioni fisiche di Ali Bongo. Il “re” nonostante nel 2018 abbia avuto un ictus cerebrale che lo ha reso profondamente handicappato è rimasto in sella e intendeva rimanerci anche dopo le elezioni del 26 agosto scorso.
Ali Bongo subito dopo la notizia del colpo di Stato ha rivolto in televisione un appello agli amici di tutto il mondo, chiedendo aiuto. Si è rivolto in inglese. Strano, perché la lingua ufficiale del Gabon è il francese. Forse si è espresso così per prendere formalmente, ma non sostanzialmente le distanze da Parigi.
Mani pulite
D’altro canto, il generale golpista non è nuovo a trasformismi. Appena insediato a capo della Guardia Repubblicana aveva lanciato l’operazione “mani pulite” volta a rintracciare i funzionari amministrativi e politici responsabili di appropriazione indebita di fondi pubblici. “Da parte di un individuo che è ben lungi dall’essere un esempio di probità morale, questo è davvero il bue che dice cornuto all’asino”, aveva commentato, un revisore dei conti che vuol restare anonimo della Cour des Comptes, citato dal sito Mondafrique.
Cercando di essere più convincente, il controllare aveva continuato: “Quando era aiutante di campo del defunto presidente Omar Bongo, ha accumulato così tanto denaro che ha finito per investire freneticamente e disordinatamente in proprietà. Oggi è a capo di un impero colossale”.
Brice Oligui Nguema ha comprato terreni, palazzi e altri beni immobili in Senegal, Francia, Marocco e Stati Uniti. L’organizzazione americana anticorruzione OCCRP (Organized Crime & Corruption Reporting Project) nel 2020 ha stimato che il capo della guardia presidenziale possiede diverse proprietà nei sobborghi di Washington, acquistate in contanti per una somma di circa 600 milioni di franchi CFA. Nel 2018 ha acquistato – sempre in contanti! – una proprietà a Silver Spring, nel Maryland, per 447.000 dollari!
L’anonimo revisore ritiene che l’operazione “mani pulite” di Brice Oligui “in realtà fosse un sistema utilizzato per regolare i conti e sbarazzarsi di alcune personalità che erano diventate motivo di imbarazzo per il regime”.
Niente bandiere russe
A differenza di quanto accaduto in Mali e in Niger a Libreville durante le manifestazioni di giubilo in appoggio ai golpisti non sono comparse bandiere russe o cartelli antifrancesi. La Francia ha condannato il colpo di Stato quasi come un atto dovuto. Nessuna violenza verbale, nessuna minaccia. In Africa tutto può accadere e non ci dovremmo meravigliare se quanto avvenuto il Gabon sia stato un autocolpo di Stato organizzato dalla Francia per evitare un colpo di Stato antifrancese. Non è da escludere quindi che il brigadiere generale Brice Clotaire Oligui Nguema abbia lavorato per se stesso facendo piazza pulita dei vecchi ingombranti dirigenti e per permettere ai suoi uomini di entrare in azione.
Un indizio potrebbero fornirlo le manovre dell’ufficiale golpista dei mesi scorsi con le nomine ai vertici dell’amministrazione, alle cariche apicali di importanti aziende pubbliche e a posizioni strategiche nella Guardia Repubblicana. Intrallazzi che avrebbero dovuto gettare una luce severa sulle subdole macchinazioni di questo zelante generale, ma avrebbero anche dovuto attirare l’attenzione della famiglia “regnante”. In fondo Nguema con il golpe potrebbe avrebbe continuato a fare il suo lavoro con la stessa scrupolosa attenzione: difendere il regime.
Massimo Alberizzi
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