Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
23 agosto 2023
Nella parola clandestino, di origine latina – clam (nascosto) e dies (giorno), letteralmente ‘nascosto di giorno’ – è presente l’idea di cose fatte senza l’approvazione o contro il divieto delle autorità.
Oggi questa definizione vive principalmente nell’individuazione di rifugiati, richiedenti asilo, migranti e profughi fra i latrati di accusa e i vuoti discorsi di giustificazione.
Nessun rifugiato, nessun richiedente asilo, nessun migrante, nessun profugo è un clandestino.
Nessuna persona che ha timore di essere perseguitata per la sua cittadinanza, la sua appartenenza sociale o le sue opinioni politiche, è un clandestino.
Nessuna persona che lascia guerra, povertà, carestie, violenze o persecuzioni, è un clandestino.
E ha messo tutto nero su bianco la Cassazione, con la sentenza dello scorso 16 agosto.
La decisione della Suprema Corte mette fine a una vicenda iniziata 7 anni fa, quando la Lega aveva convocato una manifestazione di protesta, per contestare l’assegnazione di 32 richiedenti asilo a un centro di assistenza a Saronno, in provincia di Varese. “Saronno non vuole i clandestini” è questo che recitavano, come tanti brulicanti burattini, i manifestanti guidati da Matteo Salvini.
Troppo ghiotta l’occasione di abusare ripetutamente della parola “clandestino” durante la massacrante campagna politica che, negli anni, ha incoronato Salvini prima alla Camera dei deputati e poi al Senato della Repubblica. Cavalcando una profonda ondata di povertà politica, l’uso della lingua italiana è stato dunque distorto per denigrare, per confondere, per raggirare.
L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e NAGA, organizzazione che fornisce assistenza sanitaria e legale ai cittadini stranieri, avevano citato in giudizio la Lega, condannata in primo grado e in appello, nel 2017 e nel 2020.
Quindi, il ricorso della Lega, respinto anche dalla Cassazione con le parole “Gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un grave danno, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque clandestini”.
La Cassazione definisce inoltre l’episodio come “comportamento idoneo a offendere la dignità della persona e a creare un clima degradante, umiliante e offensivo”, adeguandosi a quanto già sancito dalla Convenzione di Ginevra nel lontano 1951.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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Photocredit: Financial Times