Francesco Cosimato*
29 luglio 2023
Il recente colpo di Stato in Niger ci costringe a guardare bene cosa succede in Africa, quali sono i rischi generali della presenza in quel continente, in aggiunta, quali sono i rischi particolari dei contingenti che seminiamo in giro per il mondo.
Mentre fior di analisti si lanciano in articolate ed acute analisi del significato degli avvenimenti di questi giorni in Niger, cioè la deposizione del presidente da parte di una giunta militare, ritengo utile riflettere anche sulle caratteristiche di questo interventismo dai contorni non chiarissimi.
L’operazione italiana rientra in una più ampia missione di parternariato militare nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) in Niger (EUMPM Niger, European Union Military Partnership Mission) per sostenere il Paese nella lotta contro i gruppi terroristici armati.
In particolare, “l’Agenzia Industrie Difesa (AID), in coordinamento con lo Stato Maggiore della Difesa, si occuperà di costruire le infrastrutture e le infrastrutture di un battaglione trasmissioni delle Forze Armate per rafforzare le loro capacità logistiche e di una base operativa avanzata per sostenere le operazioni nella regione di Tillabéry. Unitamente a tali attività verranno forniti equipaggiamenti non letali e strumenti operativi per facilitare la missione sul territorio”.
Il virgolettato è tratto dal sito di AID. Inoltre, leggiamo sempre sullo stesso sito che “le attività, finanziate dalla Commissione Europea, rafforzano la collaborazione con il Niger nel settore della Difesa e ribadiscono l’impegno di tutta l’Unione Europea per il raggiungimento di una maggiore stabilità e della pace in Niger e in tutto il Sahel”.
In questo caso, parliamo di una missione che, a fronte di obiettivi molto ambiziosi, non ha compiti di creazione diretta della sicurezza di quel Paese attraverso l’imposizione di un accordo internazionale, ma solo di assistenza alle forze armate locali.
Come è ormai noto, in Africa operano con spregiudicatezza numerosi “operatori”, cioè milizie mercenarie, che hanno lo scopo di attirare i Paesi d’interesse nell’orbita politica, economica e militare di potenze appartenenti all’area dei cosiddetti BRICS, che non sono limitati solo alla Russia ed alla Cina.
Mentre quando un privato va in vacanza può scegliere di spendere di più per avere un servizio migliore, noto come “all inclusive”, cioè “tutto compreso”, quando uno Stato lancia una missione militare il costo è sempre “all inclusive”, nel senso che non si può scegliere di costruire solo una base militare, ma si deve sapere che si potrebbe rimanere coinvolti in attività “cinetiche”, cioè a dire che si potrebbe finire coinvolti in combattimenti.
Se davvero l’Unione Europea ha l’obiettivo di “migliorare la capacità delle forze armate del Niger di contenere la minaccia terroristica, proteggere la popolazione nel Paese e assicurare un ambiente sicuro e protetto, nel rispetto del diritto in materia di diritti umani e del diritto internazionale umanitario”, come abbiamo letto testualmentennegli scopi della missione, probabilmente si deve immaginare un dispositivo multinazionale molto più massiccio ed articolato che, basato su una solida volontà politica, possa far capire ai malintenzionati che si sta facendo sul serio.
La storia delle missioni di peacekeeping, dai tempi del fallimento di UNPROFOR (1995), ha bocciato senza appello il modello di operazioni militari ONU/UE perché non si basa su una chiara volontà politica e su robuste Forze Armate, con una chiara indicazione della capacità di agire efficacemente nelle fasi più dure della missione e di usare convenientemente il fuoco disponibile.
Qualsiasi missione di peacekeeping può evolvere verso uno scenario, pur inaspettato, di confronto diretto. I governi italiani, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, hanno disperso le scarse forze a disposizione in una miriade di operazioni minori e frammentate che non sembrano in grado di essere corrispondenti agli interessi strategici del Paese in cui operano.
Bisogna anche ammettere che la legge che dimensiona lo strumento militare, cosiddetta legge “Di Paola”, è relativa ad uno scenario che la guerra convenzionale in corso in Europa ha ormai relegato nella Storia delle Forze Armate.
Auspico che si prenda atto della gravità della situazione, a tutti i livelli, per ripensare la strategia di Difesa e Sicurezza del nostro Paese.
Francesco Cosimato*
f.cosimato@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA
*Generale in congedo con una quasi quarantennale esperienza militare, quattro missioni all’estero e molte attività internazionali. Già Public Affairs Officer in seno alla NATO. Presiede un Centro Studi strategici (www.centrostudisinergie.eu)
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