23 luglio 2023
Guerra ai migranti anche a costo di aiutare chi nega i diritti umani e si distingue per sanguinarie repressioni. Così Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio dei ministri e responsabili degli Esteri e della Cooperazione internazionale, ha ricevuto il 19 luglio scorso una delegazione del governo eritreo. Tra loro il suo omologo, Osman Saleh, e Yemane Gebrehab, numero due del regime. Nel 2016 Yemane e l’allora ambasciatore eritreo accreditato a Roma, Petros Fessazion, erano stati aggrediti all’uscita di un ristorante gestito da un loro connazionale nella capitale.
Questa volta, per fortuna, nessun inconveniente per i due alti funzionari della dittatura. E, secondo, come si legge nel post sull’account twitter di Yemane G. Meskel, ministro per la Comunicazione eritreo, “I colloqui con il capo della diplomazia italiana sono stati cordiali e produttivi. Le due parti hanno discusso di rafforzare la cooperazione bilaterale in vari settori prioritari, tra questi, istruzione, sanità, energia, agricoltura, produzione, infrastrutture, commercio e investimenti. Inoltre è stato concordato di cooperare per promuovere la pace, la stabilità e lo sviluppo nel Corno d’Africa”.
Finora non sono trapelati dettagli su nuovi eventuali investimenti del governo italiano nel Paese. Va comunque ricordato, che malgrado gli “stretti legami storici e culturali” menzionati sull’account della Farnesina, nel settembre 2020 la dittatura eritrea non ha esitato a mettere temporaneamente i sigilli sulla scuola italiana di Asmara, istituita nel 1903. A tutt’oggi l’istituto non è stato riaperto.
L’attenzione sulla situazione dei diritti umani in Eritrea resta sempre molto alta. E, la giordana Nada Al-Nashif, vice Alto commissario di OCHA (Ufficio per i Diritti umani dell’ONU), ha sottolineato lo scorso marzo, in occasione della 52esima sessione del Consiglio, tenutasi al Palazzo delle Nazioni, Ginevra, che le gravi violazioni delle libertà fondamentali delle persone in Eritrea continuano e non mostrano alcun segno di miglioramento.
La signora Al-Nashif ha poi precisato che il suo ufficio continua a ricevere rapporti credibili su torture, detenzioni arbitrarie, condizioni di prigionia disumane, sparizioni forzate, limitazioni dei diritti alla libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica.
Insomma l’Eritrea, nella scala dei regimi maggiormente repressivi, vanta il primo posto, a pari merito con la Corea del Nord.
E, secondo l’ufficio dell’Alto Commissario Volker Türk, migliaia di prigionieri politici e di coscienza continuano restare dietro le sbarre ormai da decenni. E non cessano nemmeno le vessazioni e gli arresti arbitrari nei confronti di chi professa una fede non in linea con il regime.
Nulla di nuovo anche per quanto concerne il servizio militare/civile indeterminato, che si è addirittura intensificato con il conflitto in Tigray, la regione settentrionale della confinante Etiopia. I coscritti continuano a essere arruolati per un periodo di servizio illimitato, oltre i 18 mesi previsti dalla legge. Spesso i giovani sono soggetti al lavoro forzato, vengono torturati e/o subiscono violenze sessuali. Chi tenta di disertare rischia pene gravissime.
Laetitia Bader, vicedirettore per l’Africa di Human Rights Watch, ha poi evidenziato in un rapporto del febbraio scorso, che durante la guerra in Tigray, per incrementare le proprie truppe il governo eritreo ha espulso dalle proprie case anziani e donne con bambini piccoli, parenti di giovani che non si sono presentati all’appello per l’arruolamento obbligatorio. Le autorità volevano scovare coloro che considera disertori.
Proprio per sottrarsi al servizio militare, molti giovani continuano a fuggire dal proprio Paese. E, secondo quanto riporta l’UNHCR, il trend sarebbe addirittura in leggero aumento. Secondo gli ultimi dati, nel 2022 i fuggitivi sarebbero oltre 160.000, tra questi 130.000 si sarebbero rifugiati in Etiopia e Sudan, Paese dove da metà aprile si sta consumando un sanguinario conflitto.
Recentemente sono stati segnalati rimpatri forzati di richiedenti asilo eritrei da parte di alcuni Paesi, il che espone le persone a gravi violazioni dei diritti umani nel Paese, ha fatto sapere Al-Nashif, esortando i governi a porre fine a tali crudeli pratiche di rimpatrio.
E’ davvero allarmante notare che tutte le violazioni dei diritti umani vengono commesse in un contesto di totale impunità.
Dall’altro canto va ricordato che, in base all’Accordo siglato a Pretoria, Sudafrica, nel novembre 2022, tra rappresentanti del governo di Addis Abeba e i combattenti del Tigray, alle truppe di Isaias Aferwerki è stato ordinato di lasciare immediatamente la regione a nord del Paese, al confine con l’Eritrea. Il ritiro non ha rispettato la tempistica richiesta, anzi, resta a tutt’oggi incompleto.
La speranza è che l’Italia non firmi protocolli di intesa, magari destinati restare segreti, con cui il nostro Paese si impegna a rimpatriare i migranti eritrei nel loro Paese. Questi poveracci andrebbero incontro alla vendetta del regime, che li considera traditori, con conseguente carcere duro, torture, stupri e violenze di ogni genere. Una politica che potrebbe essere considerata crimine contro l’umanità. Non ci dovremmo poi meravigliare se qualcuno decidesse di sporgere denuncia alla Corte Penale Internazionale dell’Aia contro il governo italiano.
Africa ExPress
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Se uno non si inchina all'America sarà sempre detto dittatore dai servi dell'America come il governo italiano.