4 luglio 2023
La guerra in Sudan continua senza sosta e la gente in fuga muore. Il mondo occidentale ha quasi dimenticato questo conflitto tra i due generali, di Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Paese, e Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti, leader delle Rapid Support Forces (RSF), iniziato il 15 aprile 2023.
Domenica mattina pesanti combattimenti tra le forze armate sudanesi e le RFS hanno nuovamente scosso la capitale Khartoum, mentre domenica mattina, sin dalle prime ore del mattino il conflitto si è concentrato a Omdurman, la città gemella della capitale sull’altra sponda del Nilo. Secondo testimoni oculari le forze armate sudanesi hanno lanciato offensive aeree contro i paramilitari delle RSF. Mentre in un’altra parte della città si sono uditi colpi di artiglieria pesante.
L’associazione dei medici sudanesi ha accusato RSF di aver fatto irruzione sabato nell’ospedale di Shuhada, uno dei pochi ancora in funzione nel Paese, e di aver ucciso un membro dello staff, fatto ovviamente negato dai paramilitari.
Mentre l’agenzia governativa, Unità per la lotta alla violenza contro le donne, ha fatto notare proprio sabato che sono in forte aumento le violenze sessuali. Finora sono stati registrati ufficialmente 88 casi, ma nella realtà sono sicuramente moti di più.
La maggior parte delle vittime ha puntato il dito contro i miliziani delle RSF. I gravi fatti si sono verificati a Khartoum, El Geneina e Nyala, capoluogo del Darfur meridionale..
I morti non si contano più, si parla di oltre 3.000 dall’inizio del conflitto. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), 2,2 milioni di persone sono e quasi 645.000 sono fuggite oltre confine per mettersi in salvo. Mentre, secondo le Nazioni Unite, in tutto il Paese 25 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari e protezione.
“La situazione è grave e difficile per gli sfollati, che si trovano bloccati in nove campi nello Stato del Nilo Bianco, al confine con il Sud Sudan.”, ha detto la ONG francese Medici senza Frontiere (MSF).
Lo spazio aereo resta chiuso in tutto il Paese fino all’10 luglio prossimo, eccezion fatta per i voli degli aiuti umanitari, ha spiegato in un comunicato l’Autorità per l’aviazione civile del Sudan.
Intanto sono stati sospesi il mese scorso i colloqui a Gedda, sponsorizzati da Stati Uniti e Arabia Saudita. Un tentativo di mediazione da parte dei Paesi dell’Africa orientale è stato respinto dal presidente del Sudan, che ha accusato il Kenya di non essere imparziale.
La scorsa settimana, invece, al-Burhan e il vicepresidente del Consiglio sovrano, Malik Agar, hanno detto di essere disposti a accettare una mediazione da parte della Turchia o della Russia. Finora però non sono stati annunciati negoziati ufficiali.
La settimana scorsa Agar si è recato in Russia, dove ha incontrato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov. In tale occasione il capo della diplomazia russa ha sottolineato che Mosca è molto preoccupata per quanto sta accadendo in Sudan. Il suo governo è pronto a fare la propria parte perché si possano creare le condizioni per normalizzare la situazione.
Va però ricordato che i mercenari russi della società Wagner ha stretti legami con le RSF di Hemetti e si sospetta che i contractor sostengano le truppe dell’ex vicepresidente sudanese via la vicina Repubblica Centrafricana.
Intanto arrivano grida disperate dalla popolazione del Darfur, dove nel 2003 l’ex dittatore Omar al-Bashir ha armato e scatenato contro le minoranze etniche non arabe le milizie janjaweed. La pulizia etnica causò la morte di oltre 300 mila persone e la fuga di 2,5 milioni di sfollati.
La Corte Penale Internazionale aveva poi accusato l’ex presidente e altri suoi complici di crimini di guerra e contro l’umanità. A tutt’oggi al Bashir, deposto nel 2019 proprio da al-Burhan e Hemetti, non è stato consegnato al Tribunale dell’ONU dell’Aja in Olanda.
Le notizie che arrivano dalla regione sono terrificanti. Dabanga News riporta che alcuni rifugiati arrivati nei campi per profughi in Ciad, hanno accusato i miliziani delle RSF di aver deliberatamente ammazzato 20 bambini a Genina, capoluogo del Darfur occidentale. Proprio nella città e nei suoi dintorni – scrive Dabanga – dall’inizio del conflitto sono morte almeno 8.000 persone. Molte salme si troverebbero ancora sulle strade della città, altre sulla via verso il Ciad. “Intere famiglie sono state sterminate per motivi etnici”, ha raccontato ai reporter un profugo che ora si trova nel Paese confinante.
Lo stringer di Africa ExPress in Darfur ci ha informato che per scappare da Genina i fuggiaschi sono costretti a pagare il pizzo ai miliziani di RSF, che, pur avendo cambiato nome, gran parte di loro sono ex janjaweed. E anche oggi stanno effettuando ciò che gli è più consono: pulizia etnica. Diavoli a cavallo li chiamavano allora, perchè stupravano le donne, ammazzavano gli uomini e rapivano i bambini.
Il nostro stringer ha poi aggiunto che alcuni anziani ipovedenti sono stati mandati dai paramilitari in un edificio con la promessa che sarebbero stati al sicuro. Ma, una volta rinchiusi, la palazzina è stata incendiata.
Africa ExPress
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