Cornelia I. Toelgyes
21 giugno 2023
Il 16 giugno scorso al Palazzo di Vetro, il ministro degli Esteri del Mali, Abdoulaye Diop, ha chiesto il ritiro immediato dei caschi blu di MINUSMA, la missione dell’ONU nel Paese.
Era nell’aria che il regime attualmente al potere nell’ex colonia francese volesse annunciare qualcosa di grosso nella sala del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Pare che solamente i membri permanenti (Russia, USA, Cina, Regno Unito, Francia) avessero già fiutato qualcosa. Senza battere ciglio e in modo secco e convinto venerdì scorso, il ministro degli Esteri del regime militare di transizione, Abdoulaye Diop, ha chiesto il ritiro immediato dei caschi blu.
Attualmente la missione dell’ONU in Mali comprende 11.676 militari, 1.588 personale di polizia, 1.792 civili (859 nazionali – 754 internazionali, compresi 179 volontari delle Nazioni Unite), per un totale di 15.056.
Eppure, malgrado alcune divergenze anche profonde, sembrava che le questioni tra le parti si fossero appianate. Tant’è vero che nelle prossime settimane erano previsti negoziati per il rinnovo del mandato di MINUSMA.
Diop ha poi sottolineato che dopo quasi dieci anni di presenza sul campo, MINUSMA è stato un fallimento. La missione ONU è diventata parte del problema, perché ha alimentato le tensioni esacerbate con accuse estremamente gravi che sono altamente negative per la pace, la riconciliazione e la coesione nazionale in Mali.
La dichiarazione di Diop è paragonabile alla richiesta di ritiro dei soldati francesi dal Mali dopo mesi di tensioni e dichiarazioni accese. Nell’agosto 2022, gli ultimi soldati dell’operazione “Barkhane” hanno poi lasciato la loro ex colonia.
Ma nel Paese non tutti condividono la scelta dei militari al potere. A Gao e Timbuktu, una buona fetta della popolazione chiede il mantenimento della missione dell’ONU. E, secondo un politico di Timbuktu, MINUSMA impiega molta gente del luogo, “investe anche nello sviluppo, cosa che il governo non fa”, ha poi aggiunto.
Anche se il contingente dell’ONU non ha raggiunto l’obiettivo primario, cioè quello di riportare la sicurezza nella zona, oltre al lavoro ha dato una mano forte per quanto concerne i servizi essenziali, ha sostenuto un rappresentante di Gao.
La frattura tra la giunta militare e l’ONU è il risultato di una crisi esplosa poi con l’arrivo del gruppo paramilitare russo Wagner e le recenti accuse del Palazzo di Vetro sui massacri, ovviamente poco apprezzate da Bamako.
In un rapporto inviato alle Nazioni Unite nel dicembre 2022, Bamako aveva elencato richieste specifiche a Minusma, tra queste: dare priorità alla dimensione di sicurezza del mandato, rafforzare il sostegno alle forze armate maliane e optare per azioni offensive e pattugliamenti.
Ma la razionalizzazione della missione ONU – senza riduzione di personale ma con la chiusura delle basi – raccomandata nel rapporto del 13 giugno scorso dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, è stata respinta dalla giunta maliana. “Né le proposte di Guterres, né la bozza di risoluzione attualmente in fase di negoziazione tra i membri di questo Consiglio, rappresentano una risposta adeguata alle aspettative del popolo maliano”, ha replicato Diop.
Sia a New York come a Bamako, molti diplomatici sono preoccupati per il grave impatto che potrebbe avere il ritiro dei caschi blu nel Paese. Sebbene ostacolata nell’esercizio del suo mandato, MINUSMA, è ritenuta la missione di pace più pericolosa al mondo. In quasi 10 anni di attività, sono stati uccisi 192 soldati. Malgrado ciò è stata sempre un deterrente contro i gruppi jihadisti nel nord e nel centro del Paese.
Il portavoce della giunta militare di transizione del Burkina Faso ritiene la decisione di Bamako molto coraggiosa e il governo di Ouagadougou ha invitato la comunità internazionale di “rispettare rigorosamente le scelte fatte dal Mali”.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
Twitter: @cotoelgyes
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